L'inchiesta

Taranto, Caso Capristo, i retroscena. E la difesa studia le carte

Mimmo Mazza

L’inchiesta di Potenza è nata da una dettagliata segnalazione fatta nel marzo 2019 dalla Procura generale di Bari

TARANTO -  Non è stato ancora fissato l’interrogatorio di garanzia del procuratore della Repubblica di Taranto, Carlo Maria Capristo, finito l’altra mattina agli arresti domiciliari nell’ambito di un’inchiesta sulla corruzione coordinata dalla Procura di Potenza, competente sui magistrati in servizio a Taranto, con l’accusa di induzione indebita a promettere o dare utilità. Capristo avrebbe cercato, secondo l’accusa, di indurre una giovane pubblico ministero di Trani (dove è stato procuratore dal 2008 al 2016), Silvia Curione, ora in servizio a Bari, ad aggiustare un processo. Però il sostituto - che Capristo definiva stando a quanto emerso da alcune intercettazioni telefoniche la «bambina mia» - non solo si oppose, ma denunciò tutto, senza alcun timore delle eventuali ritorsioni nei confronti del marito Lanfranco Marazia, anche lui magistrato, all’epoca in servizio proprio nella Procura di Taranto.

Insieme a Capristo - che tramite il suo avvocato Angela Pignataro continua a respingere ogni accusa - sono finiti ai domiciliari l’ispettore di Polizia Michele Scivittaro, in servizio presso la Procura di Taranto e uomo di fiducia del Procuratore fin dai tempi di Trani, e gli imprenditori baresi Giuseppe, Cosimo e Gaetano Mancazzo, mandanti secondo l’accusa dell’induzione indebita. Indagato a piede libero è l’ex procuratore della Repubblica di Trani, Antonino Di Maio, accusato di favoreggiamento e abuso d’ufficio perché con le sue azioni avrebbe provato a «procurare l’impunità» di Capristo. A Trani - sempre secondo l’accusa - Capristo avrebbe creato negli anni un suo «club di fedelissimi»: per il gip di Potenza, Antonello Amodeo, tale legame sarebbe anche «di natura affaristica, ossia orientato a privilegiare gli interessi personali dei suoi componenti».

Dalle indagini, che fanno riferimento ad episodi accaduti tra l’aprile 2017 e l’aprile 2019, è emerso che i cinque uomini arrestati, «in concorso tra di loro», avrebbero cercato di convincere la pm Curione a perseguire per usura una persona, così gli imprenditori avrebbero potuto ottenere indebitamente i vantaggi economici e i benefici di legge previsti per le persone «usurate». Scivittaro il 16 aprile del 2018 si presentò nell’ufficio della pm Curione «a nome e per conto» di Capristo per chiedere di portare avanti il processo. La giovane pm però si rifiutò, scrivendo una relazione di servizio al procuratore Di Maio nella quale si legge che il poliziotto «rappresentava la necessità che il fascicolo venisse definito con urgenza. Quella visita mi ha lasciata perplessa». Di Maio, sempre secondo quanto accertato dagli inquirenti, decise allora di trattare direttamente il procedimento, chiedendone l’archiviazione. Ma «in ragione dell’infondatezza della richiesta», la Procura generale di Bari avocò a sé l’inchiesta e la trasmise per competenza alla Procura di Potenza nel marzo del 2019. Capristo e Scivittaro, inoltre, sono accusati di truffa ai danni dello Stato e falso ideologico: gli investigatori hanno scoperto che in alcune centinaia di casi l’ispettore risultava presente in ufficio a Taranto e percepiva gli straordinari, ma in realtà stava a casa e svolgeva «incombenze» per conto del procuratore.

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