Rocco e i suoi fardelli
di ALBERTO SELVAGGI
Dovete sapere che il 4 maggio del 1964 a Ortona, provincia di Chieti, nacque un pene di 24 centimetri per 5 di diametro, e di bell’aspetto, requisito fondamentale nell’estetica porno. Nella placenta pian piano, attorno a esso, si sviluppò un feto destinato a diventare il più famoso attore nudo dalla metà degli Ottanta in poi: Rocco Antonio Tano, in arte Siffredi.
Rocco è la recita di una recita, in cui il divo interpreta se stesso, senza raccontarsi a cuore puro. Perfino nelle lacrime per la madre virile e virulenta davanti all’icona di San Pio, nel rapporto con i figli Leonardo e Lorenzo («sei il padre migliore che si possa immaginare», e lui si commuove), nel leitmotiv del «demone del sesso, un diavolo tra le gambe» che lo anima e lo distrugge, tanto da smorzare in parte perfino il pathos nel ricordo del fratello maggiore Claudio, epilettico, scomparso quando Rocco aveva sei anni. Così che tutto, mescolando indefiniti piani di documento da The Body of Sex (serie tv su Cielo, dedicata ai retroscena del porno), biografia tossicchiante e fiction, s’intristisce nel riverbero di gridolini recitati da attrici a ore; così che una vita da Rocco, straordinaria e spericolata, viene in larga parte taciuta, o si rappresenta nel contesto falsato dell’imprenditoria dei corpi.
Il documentario, girato molto bene sotto il profilo tecnico, parliamo pur sempre di professionisti, è percorso da una colonna sonora angosciata, tipica della nuova cinematografia da disagio Usa. Che vorrebbe evocare le lacerazioni dell’ego dell’iridato Hot d’Or (Oscar hard-core). Poco spazio alle cesure epocali della sua carriera di stantuffo umano, alla prodigiosa aneddotica ben profusa invece nell’autobiografia Io Rocco (Mondadori). E parliamo di storia perché il deprecato, vacante porno, come hanno compreso soltanto di recente i grandi studiosi americani firmando poderosi volumi, ha influenzato il nostro quotidiano e la percezione stessa della realtà, fino a segnare le cronache: moltissimi minorenni girano video tra loro. Poche tracce dei molti personaggi da romanzo (mica solo Moana), o più spesso tragico-comici. Senza contare qualcosa di dubbio, come l’episodio del rapporto orale consumato con l’anziana vicina di casa della madre «durante i funerali della donna che mi mise al mondo e mi guida nel pensiero, ancora».
In Rocco primeggia la star compiaciuta e dispiaciuta. Il produttore regista, più che l’attore. C’è qualcosa del marito di una bellissima moglie, eccellente yogi, Rosa Tassi (Caracciolo), che conobbe i set a luci rosse non «lavorando da truccatrice», come racconta lei, bensì in veste di attrice. E c’è un bel po’ di Gabriele «Gabi», il cugino con cui lavora da vent’anni, qui nel ruolo di spalla oggetto di scontro.
Pullulano gran sventole, questo sì, sottoposte a provini di resistenza (mano ficcata in gola) che francamente danno allo stomaco. E tra un barlume di sesso estremo, di frustate di piacere che ormai danno noia, spuntano i faccini dei produttori Mark Spiegler e John Stagliano, la rediviva Kelly Stafford, detta «Siffredi in gonnella», i pornoattori James Deen e Abella Danger, la protetta baby-diva napoletana Valentina Nappi. Con finale di Rocco sul set dell’ultimo (ultimo?, mah) film, legato a una croce che non brucia di peccato già dalla scomparsa della dea Dannazione.