L'intervista

«Fantozzi? Oggi avrebbe milioni di follower», parla la figlia Elisabetta

Rossella Cea

Il Sudestival di Monopoli dedicherà una retrospettiva al cinema di Paolo Villaggio. Domani ospite la figlia: «Con mio padre rapporto difficile, ma mi ha insegnato tanto»

L’esperienza artistica di Paolo Villaggio ha segnato in maniera indelebile 50 anni di storia dello spettacolo, in particolare portando sullo schermo il ragionier Ugo Fantozzi, comparso al cinema nel 1975. Personaggio emblematico che ha saputo rappresentare nella sua irresistibile tragicomicità, la classe media impiegatizia. Ma non è solo questo che ha reso unica l’opera di Villaggio. La figlia Elisabetta parteciperà domani al Festival del cinema di Monopoli Sudestival, per una retrospettiva a lui dedicata.

Che rapporto aveva con suo padre?

«Non idilliaco, anzi: è stato costellato di scontri. Ma alla fine penso che sia stato positivo, perché mi ha aiutata a crescere, insegnandomi tanto. Mio padre non si imponeva con le urla. Era una persona ricca di interessi e di passioni: il cinema, i libri, i viaggi; complessa ma stimolante. Ricordo che mi ha messo Marcuse in mano a 12 anni. Lei pensi che responsabilità…»

Tanto si è detto sull’identificazione del personaggio di Fantozzi con la piccola borghesia e le sue aspirazioni, ma forse esiste una lettura semantica più profonda?

«Sicuramente Fantozzi è entrato nell’immaginario collettivo perché tutti in fondo ci sentiamo impotenti verso certe istanze della vita. O meglio, esiste un lato di noi che si riconosce in questo personaggio. Non sa quante volte io stessa ho fatto una corsa per non perdere l’autobus o mi sono ritrovata al funerale sbagliato. Mio padre diceva sempre che tutti lo avrebbero ricordato come Fantozzi, non come Paolo Villaggio. Siamo tutti un po’ Fantozzi. Ognuno di noi inciampa nella vita qualche volta, sia al livello metaforico che reale».

Lei insegna cinema in accademia. Che reazione hanno gli studenti della nuova generazione quando spiega chi era suo padre?

«Ieri ho fatto vedere ai miei studenti il documentario a cui ho lavorato su mio padre, Mostruosamente Villaggio. Il mio atteggiamento è stato quello di diventare una statua di sale. Non parlo volentieri di lui con i miei allievi. Mi coglie spesso una sorta di timidezza a riguardo. Sono diventata nonna da poco, quindi in famiglia ci siamo detti che qualcuno prima o poi dovrà raccontare al bambino chi era il nonno. Penseremo a trovare la maniera insomma…».

Come racconta suo padre nel libro «Oltre la maschera»?

«Parto da me bambina, e poi adulta, cercando di tracciare un percorso intimo di quello che è stata la figura di mio padre che da persona assolutamente normale ha raggiunto un enorme successo. Ho cercato di raccontare il motivo per cui ho scritto questo libro, desidero lasciare una memoria storica che non può essere rintracciata nella documentazione presente su internet o altrove. Il mio punto di vista assolutamente personale su quello che era e sui personaggi che rappresentava. Fantozzi era una sua creatura, non semplicemente un personaggio. La prima scena in assoluto di Fantozzi è stata quella della partita a tennis con Filini, io non lo sapevo. Attraverso varie ricerche ho raccontato anche dei momenti difficili da affrontare sulla scena o di quelli più belli. Milena Vukotic, ad esempio, mi ha confidato di quanto fosse piacevole girare le scene del rapporto tra marito e moglie in casa.»

Ma un Fantozzi dei giorni nostri lei come lo immagina, magari con il capo chino perennemente sul cellulare?

«Non saprei proprio immaginarmelo. Sicuramente sarebbe un imbranato che non è capace di usare la tecnologia moderna, oppure uno che di colpo si ritrova un milione di followers senza sapere perché».

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