L'intervista

«Decontribuzione Sud contro lo spopolamento»: la proposta di Fontana

Redazione primo piano

Confindustria torna a chiedere il ripristino della misura in scadenza.

Dal 30 giugno il Mezzogiorno non potrà più usufruire della Decontribuzione Sud, l’unica misura - a detta degli imprenditori - in grado di compensare gli enormi svantaggi competitivi di contesto che penalizzano le imprese meridionali, a cominciare dal gap infrastrutturale. Il governo ha infatti deciso di non rifinanziarla. «Faccio un esempio: per produrre e commercializzare una penna, un farmaco, un cellulare negli ultimi anni le nostre aziende non hanno avuto i benefici dell’alta velocità, non hanno avuto servizi pubblici efficienti, ma hanno avuto uno costo del lavoro inferiore dovuto allo sgravio degli oneri contributivi del 30% rispetto al resto del Paese»: il presidente di Confindustria Puglia Sergio Fontana continua a condurre una crociata in difesa della Decontribuzione Sud.

Presidente, perché è una misura fondamentale per i nostri territori?

«Questo beneficio non solo ha mantenuto ben saldi i livelli occupazionali del Mezzogiorno negli ultimi, difficilissimi anni, ma ha anche attratto nuovi investimenti, come dimostra il recente l’insediamento a Bari di diversi big player dell’informatica. Adesso non possiamo permettere che ci venga tolta una agevolazione che ci era stata promessa, seppure con intensità decrescente fino al 2027».

Ma era un provvedimento connesso alla crisi pandemica.

«Certo, fu introdotta dal governo italiano nel 2020 per tutelare i livelli occupazionali nelle regioni meridionali, già penalizzate da un forte divario socio-economico. Dall’Unione Europea il Governo italiano ottenne, all’epoca, l’autorizzazione ad adottare tale misura con un decalage che l’avrebbe condotta fino al 2027. Di proroga in proroga, vari governi ne hanno ottenuto il rinnovo dalla Commissione europea sino al 30 giugno 2024».

Ma il Governo ha deciso ora di non chiedere la proroga, perché come ha spiegato il ministro Fitto, le conseguenze della crisi pandemica e della guerra in Ucraina si sono stabilizzate.

«Ma questo è un grave errore di visione. Ciò che non viene considerato è che il Mezzogiorno d’Italia non è affatto uscito dall’emergenza, anzi. In questi anni sta vivendo un emergenza ancor peggiore, che avrà effetti ben più duraturi e profondi del Covid e della guerra in Ucraina: l’emergenza demografica».

Qual è il rischio?

«Il Mezzogiorno sta correndo un grave pericolo, quello di un pesantissimo spopolamento, che attualmente è gravemente sottovalutato sia dalla politica nazionale, sia da quella europea. La popolazione meridionale diminuisce, infatti, ad un ritmo doppio rispetto al resto d’Italia e triplo rispetto ai Paesi dell’Unione. Se non sarà fermata, questa emergenza priverà il Sud del capitale umano e delle competenze necessari per la sopravvivenza delle aziende. Il rischio è che lo spopolamento diventi anche deindustrializzazione. Su queste basi sono certo che il governo italiano possa ottenere dalla Commissione Europea una deroga sugli aiuti di Stato».

Cosa suggerisce invece al Governo?

«Sappiamo che il negoziato da affrontare non è certo semplice, ma siamo sicuri che il governo italiano possa dimostrare che il Mezzogiorno si trova in una condizione di grave criticità e che possa per questo riuscire a ottenere una misura eccezionale per fronteggiare una situazione eccezionale».

Nel frattempo che il Governo avvii una trattativa con Bruxelles, cosa si può fare?

«Il governo potrebbe cercare di recuperare almeno il decalage originario della misura, per portarla fino al 2027, utilizzando altri strumenti, anche se di portata minore. Le imprese del Sud hanno bisogno di una risposta forte. Le nostre aziende non chiedono misure assistenziali fini a sé stesse, ma una forma di compensazione per continuare a produrre e a creare lavoro, nonostante tutto. La decontribuzione ci serve per competere ad armi pari con il resto d’Italia. Per questa ragione ci siamo battuti e continueremo a batterci per avere questa misura in modo non temporaneo, ma strutturale». (red. pp)

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