L'intervista

«Il mio legame con Tatarella, tra Mattarella e Rosa Marina»: Ignazio La Russa oggi a Bari

Michele De Feudis

Per i 30 anni di Fiuggi: «La regia di Pinuccio ci avrebbe aiutato nelle riforme»

BARI - La regia di Pinuccio in una partita complessa come quella delle riforme istituzionali sarebbe stata preziosa, come l’abitudine al dialogo alto con chi stava in altri fronti, dialogo che ha realizzato con Sergio Mattarella nella stesura delle migliori leggi elettorali degli ultimi anni»: Ignazio La Russa, presidente del Senato, attualizza il ricordo di Giuseppe Tatarella, ideologo della destra di governo, superando il sentimento umano della nostalgia per un amico andato via troppo presto con la trasformazione della sua memoria in uno scrigno di insegnamenti utili nell’agone politico quotidiano. I trent’anni della fondazione di Alleanza nazionale sono inscindibili dalla figura di Tatarella, vicerè delle Puglia: oggi a Villa Romanazzi Carducci un convegno ricorderà il congresso di Fiuggi e il politico pugliese, appuntamento promosso dalla Fondazione An con relatori d’eccezione.
Presidente La Russa, le giornate di Fiuggi sono un passaggio cruciale nella destra italiana. Non ci sarebbero state senza la determinazione di Tatarella. Come si arrivò a questa evoluzione del Msi?

«A Bari uniremo la grande emozione che si rinnova nel giorno in cui ricordiamo la morte di Pinuccio, e per molti di noi quotidianamente, con un impegno volto ad approfondire la storia della destra italiana nel dopoguerra. Bene, questa storia non può prescindere dal ruolo di Tatarella».

Che idea guida aveva il leader pugliese?

«Il suo lavoro iniziò da molti anni prima, con una costruzione lunga e paziente per consolidare l’obiettivo di una destra dalle radici antiche e solida, ma con lo sguardo al futuro».

Il nuovo nome, “Alleanza nazionale”, come fu individuato?

«Partecipai con Pinuccio e Gianfranco Fini alle fasi preparatorie dell’assise. Tutto scaturì da un articolo del politologo Domenico Fisichella su Il Tempo, in cui parlava della necessità di una nuova “alleanza nazionale” come fase storica. Ci piacque quella formula e decidemmo che era il nome giusto».

Allora per il congedo dalla stagione del Msi si usò la sintesi “lasciare la casa del Padre”...

«C’era anche mio padre, Nino, a Fiuggi. Disse “fate bene”. Benedì l’operazione, ma non si iscrisse, pur assicurando che ci avrebbe votato».

Come visse quelle giornate?

«Con una doppia sensazione. Ero a cavallo generazionalmente tra il sentimento dei padri e quello dei più giovani che lasciavano la “casa del padre”. La “casa del padre” era anche la mia. Fu “un trasloco”, che alimentò in me una commozione doppia, ma anche la speranza doppia che muove chi fa una nuova strada con amici della stessa età e più giovani».
Per qualche analista non fu una svolta radicale.«Dire che fu una operazione di facciata, è un giudizio ingeneroso. Chi era a Fiuggi vide che tutto fu tranne che una operazione superficiale, tra emozioni, pianti, gioie, contrasti con chi non era d’accordo… Si palpava con mano la realtà di un cambiamento epocale».

Il ruolo dei giornali di Pinuccio in quegli anni: furono un laboratorio di idee con giovanissimi come Pietrangelo Buttafuoco e Gennaro Sangiuliano ma anche Ernst Jünger o Marcello Veneziani. Quanto incisero?

«Le riviste cambiavano nome connettendosi all’attualità politica: la testata era un programma politico. "Repubblica presidenziale”, “Centrodestra” o “Millennio”, tutte erano un obiettivo che segnava Pinuccio. In comune avevano sempre il proprietario: era Ugo Martinat, nostro parlamentare e amico piemontese, che dava una continuità economica alle iniziative editoriali».

In Fdi ora ci sono anche intellettuali ex socialisti come Giulio Tremonti e Marcello Pera. Chi avrebbe voluto sedurre Pinuccio in quei mesi di grandi cambiamenti, per averlo al suo fianco in An?

«Pinuccio ogni volta associava qualcuno a un ripiano, e pensava a conquistarne un altro. Non si poneva limiti. Più lontano era la personalità, più ci provava, e costruiva un rapporto costante. Tutto questo senza mai cambiare i suoi obiettivi».

Qualche aneddoto?

«Con Sergio Mattarella aveva un rapporto forte. Facevamo cene insieme quando lavoravano al “Mattarellum” e dopo al “Tatarellum”. Con Gasparri e Bocchino siamo stati più volte con Mattarella a parlare di quella legge. Io e Maurizio avevamo un compito: non potevamo interloquire, ma dovevamo presidiare una commissione per far proseguire il progetto...».

Con altri leader distanti dalla destra?

«Pinuccio aveva una antica consuetudine con Marco Pannella, per il gusto del colloquio franco. In una delle cene con Pannella, il leader radicale a un certo punto si lamentò di avere pochi spazi televisivi. Io replicai: “Marco non mi pare, sei sempre in tv...”. E Pannella: “Ignazio, la verità è che le poche volte che mi vedi, ricordi in maniera indelebile i miei interventi”».

Il sodalizio di Tatarella con Bari?

«Lo sintetizzo in una frase che Pinuccio disse a Berlusconi, quando lo invitò alla Fiera del Levante: “Silvio vedi che Bari è la mia Fininvest”».

Tatarella era un vero riformista. A che punto sono le riforme del governo Meloni?

«Il politico di Cerignola è stato il primo a segnare tra le priorità del centrodestra il presidenzialismo. Ora noi discutiamo di premierato, perché si ritiene possa incontrare maggiore sostegno dalle opposizioni. La sua saggezza sarebbe stata preziosa anche in questo percorso: avrebbe puntato inizialmente con nettezza sulla repubblica presidenziale, per poi vedere strada facendo la mediazione. Sarebbe partito da lì».

Tra An e Fdi, la continuità si misura dal simbolo della Fiamma?

«All’inizio della storia di Fdi, alcuni dei pochi che aderirono, sostenevano che fosse importante segnare una discontinuità. Non era la mia opinione: è prevalsa alla fine una via intermedia. Fdi è stata una sliding door, la terza per la destra».

A cosa si riferisce?

«La prima fu la fondazione del Msi nel 1946, accettando le regole democratiche pienamente, con l’impegno di “non rinnegare e non restaurare”. Nel 1972 poi diventiamo “destra nazionale”, e la parola destra non era scontata nel mondo missino. Poi c’è stata Fiuggi e dopo la nascita miracolosa di Fdi, in un momento difficilissimo. Sono anelli diversi di un’unica catena».

C’è anche l’anello europeo.

«L’evoluzione della destra italiana ora ha una rappresentanza nella Commissione Ue. Grazie alla credibilità di Fdi e Giorgia Meloni. Ma senza la storia di Raffaele, sarebbe stato più difficile».

Lei è il «Tatarella» dell’attuale destra di governo?

«Sono solo il più vecchio, non mi paragono a Pinuccio, per fare un Tatarella ce ne vogliono almeno tre. La mia esperienza è a disposizione della nostra comunità. Per questo cercherò di essere a Bari, anche se ho un piccolo problema che mi frena dal prendere aerei».

Non si può raccontare Pinuccio senza un passaggio sull’amata moglie Angiola.

«Angioletta era l’unica di cui Pinuccio aveva timore reverenziale. Brontolava ma era un punto fermo della sua vita, guai se qualcuno si fosse azzardato a dire qualcosa su Angioletta».

Il ministro belga Elio Di Rupo non strinse la mano a Tatarella in un vertice Ue. Ora la Meloni è centrale in ogni schema internazionale.

«C’è stata faziosità ottusa verso di noi. Quel politico è finito in un dirupo di oblio. La Meloni anche con Trump o Musk ha come stella polare l’interesse dell’Italia e l’interesse degli italiani. Chi la critica, lo fa per invidia».

Un ricordo personale in Puglia?

«A Rosa Marina Pinuccio si trasformava. Da “romano” diventava il cerimoniere di una ospitalità unica. Una volta nel villaggio ostunese incontrò un’amica con delle pizze nei cartoni. Le disse: “Fammi vedere”. E le “rubò” tra le risate generali un trancio. Ecco, era così, spontaneo e popolare, amava i pugliesi ed era ricambiato da un affetto unico, che si respira ancora». 

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