Dai resoconti di quei giorni, innanzitutto, è emerso che don Wagno tra la fine di gennaio e la fine di febbraio (la data non è stata però accertata) sarebbe salito nel sottotetto (prima del ritrovamento del 17 marzo 2010) con le donne delle pulizie per verificare la presenza di un cranio, che il sacerdote avrebbe però "scambiato – ha detto oggi – per un pallone, vecchio e nero", notando però una scarpa e gli occhiali, ma "prendendoli per cose vecchie".
In un primo momento questa circostanza era stata collegata al 24 febbraio, grazie a uno scontrino emesso da una farmacia: in quel periodo don Wagno era influenzato e avrebbe acquistato dell’aspirina, ma dai tabulati telefonici non risultano telefonate al vescovo di Potenza, monsignor Agostino Superbo: il sacerdote ha infatti ricordato di aver comunicato l'accaduto al vescovo, parlando di un "cranio" perchè "così lo avevano definito le due donne", pur senza "ritenere grave la cosa" (monsignor Superbo aveva però capito dalla telefonata che si trattava di un "ucraino").
Nel sottotetto, quindi, don Wagno ha visto in quella data "un cumulo di immondizia, tegole e legno", precisando di non aver disposto, o visto, nessuno che toglieva la spazzatura (che in sostanza copriva il corpo di Elisa, e che poi non c'era al momento del ritrovamento "ufficiale" del cadavere, il 17 marzo). Altre incongruenze sono state rilevate dal pm, Laura Triassi, e dall’avvocato della famiglia Claps, Giuliana Scarpetta, ma don Wagno si è difeso per tutta l’udienza spiegando "di non dover difendere nessuno, di non voler dire bugie, perchè la mia coscienza è pulita".