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Stellantis, l’appello di Tajani: "La produzione resti in Italia"

ANTONELLA INCISO

La preoccupazione maggiore rimane la salvaguardia dei livelli di occupazione

POTENZA - La questione dell’ingresso dello Stato, il tema incentivi, i timori per l’occupazione ed il destino dell’indotto. La vicenda Stellantis continua ad animare il dibattito. «La preoccupazione maggiore è la difesa del posto di lavoro e mi auguro che Stellantis possa continuare a produrre auto in Italia, elettriche o ibride: è importante che l’Italia possa continuare a essere la seconda manifattura d’Europa», spiega il ministro degli Esteri Antonio Tajani a margine di un evento che si è tenuto in Lombardia. «Serve avere una politica industriale europea e avere una politica industriale italiana che si inserisca bene nella politica industriale europea. Noi stiamo cercando di fare una politica industriale in un momento complicato e la questione dell’auto elettrica e di Stellantis deve inserirsi in questo tema», aggiunge il ministro che evidenzia la necessità di prudenza rispetto all’auto elettrica.

«Oggi il mercato non è così sensibile all’auto elettrica. Bisogna evidentemente non spingere troppo sull’acceleratore – sostiene Tajani -. Abbiamo visto cosa rischia di accadere con le nuove normative comunitarie che impongono la costruzione solo di auto elettriche a partire dal 2035. In Italia - conclude Tajani - rischiamo di perdere 70 mila posti di lavoro; quindi, serve riflettere anche sulla produzione di auto elettrica».

Riflessione: una parola che torna e ritorna nella vicenda Stellantis sia sui tavoli romani sia su quelli lucani. In Basilicata, nell’area industriale di San Nicola di Melfi dove si trova uno degli stabilimenti più importanti d’Europa, da tempo la ripetono anche i sindacati. Come confermano le parole di Vincenzo Tortorelli, segretario regionale della Uil. «Non possiamo fermarci a recriminare sulle occasioni perdute non certo per responsabilità del sindacato e tanto meno accontentarci dei Tavoli tematici o di vertenze aziendali che si ripetono in Regione e ai Ministeri. Il caso più emblematico è quello di Stellantis: si naviga a vista senza un’idea precisa su cosa fare – spiega Tortorelli - Ci aspettiamo dal Governo una scelta definitiva di politica industriale sull’automotive ed anche un confronto articolato sul settore ma non confrontandosi con più di cento soggetti come continua ad accadere da troppo tempo. Serve un confronto tra il Governo, l’azienda e le organizzazioni sindacali. E serve una vera strategia della Giunta Regionale che non si limiti a scaricare su Governo nazionale e Stellantis».

Un richiamo quello sul lavoro fatto al governo regionale lucano che per la Uil di Basilicata sconta anche il «mancato accoglimento del Patto per il lavoro proposto al governo Bardi ed alle associazioni imprenditoriali nel 2020».

«Si è persa l’occasione per una svolta capace di coniugare investimenti, le grandi risorse comunitarie e del Pnrr e riforme – aggiunge il segretario regionale della Uil - Adesso che anche la nostra proposta di Patto di fine legislatura è fuori tempo massimo non ci restano che iniziative, azioni di mobilitazione, il confronto ai Tavoli nazionali e regionali per mettere in sicurezza con i lavoratori la comunità regionale». E sull’automotive è duro anche il giudizio della segretaria generale della Fiom Cgil, Giorgia Calamita. «Il Governo conferma la politica dei bonus per il settore automotive ma manca una vera strategia che possa garantire la tenuta produttiva nel nostro Paese» evidenzia la segretaria della Fiom secondo cui «gli incentivi per le vendite dell’auto si sarebbero dovuti prevedere successivamente a un intervento per il rilancio produttivo con la garanzia occupazionale per tutti i siti italiani. A Melfi, nonostante sia previsto un piano produttivo rivolto alle auto elettriche, stiamo assistendo a un ridimensionamento produttivo e occupazionale e al continuo peggioramento delle condizioni di lavoro e sicurezza – continua Calamita - Le ricadute sull’indotto e sulla logistica sono ormai fatti reali, con chiusure di attività e aziende e licenziamenti».

«Manca un quadro chiaro rispetto al l’acquisizione delle commesse e la riduzione dei turni sta mettendo in crisi tutti i lavoratori sia dal punto di vista salariale che della sicurezza», conclude la segretaria lucana.

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