Il commento
Potenza, rave party vietati nel ricordo di Lauretta: «Lì si muore»
Parlano i familiari della ragazza stroncata nel 2009 durante un ritrovo nel Salento: «Non c'è sicurezza»
POTENZA - È un epilogo che avevano invocato al pari della richiesta di giustizia e di verità. «Quelle non sono feste da ballo ma un gioco al massacro da fermare al più presto».
Sono trascorsi 13 anni dalla morte della studentessa potentina Lauretta Lamberti, 23 anni, «fagocitata» da un rave party la notte del 15 agosto 2009 a Disio, in provincia di Lecce. Da allora i familiari aspettano (invano) che si faccia luce sull’accaduto e la recente decisione del Governo Meloni di bandire queste manifestazioni «clandestine», tra musica sparata a 6mila watt e «carnai» di giovani in preda a droghe d’ogni tipo, va nella direzione di quanto auspicato fin dai primi minuti della tragedia dallo zio Giuseppe Molinari, già parlamentare, e da tutti i parenti della ragazza.
«Purtroppo - dice Molinari - sul fronte delle indagini non ci sono stati risultati. Sappiamo soltanto il responso dell’autopsia che parla di arresto cardiaco per insufficienza respiratoria acuta dovuta all’assunzione di droga. In quella campagna sperduta lungo la provinciale Poggiardo-Tricase - aggiunge - non c’era alcun pronto soccorso, neppure l’ombra di un’ambulanza. Lauretta l’avrebbero potuta salvare con un’iniezione di adrenalina com’è accaduto per altri ragazzi in quelle condizioni».
A ridosso dell’evento, lo ricordiamo, furono identificati non più di 700 giovani tra i 2.500 partecipanti. Tutti denunciati a piede libero ed uno segnalato alla Prefettura per uso non terapeutico di sostanze stupefacenti. Nient’altro. Sulla morte di Lauretta l’allora sostituto procuratore Angela Rotondano della Procura di Lecce aprì un fascicolo d'inchiesta contro ignoti. E ignoto rischia di restare per sempre il nome e il volto di chi fornì alla povera ragazza il micidiale cocktail chimico a base di ketamina (droga che abbassa l’udito per consentire ai partecipanti al rave party di ballare davanti alle casse a tutto volume).
«Quel maledetto giorno - ricorda Molinari - mi chiamò Giovanardi che era ministro del Governo Berlusconi. Mi disse che avevano intenzione di prendere un provvedimento per vietare queste manifestazioni. Ma in tutti questi anni ne sono state organizzate tantissime e, purtroppo, credo che anche le vittime siano numerose. Perché nei rave party si muore, non c’è uno straccio di sicurezza per un evento che chiama a raccolta soprattutto giovani fragili, con problemi di dipendenza. Altro che festa da ballo. Qui ci sono tragedie familiari come quella di mia sorella che ha perso la sua figlia unica e che da allora è stata divorata dal dolore. Un dolore che l’ha uccisa tre anni fa».
Il Governo ha previsto la reclusione da 3 a 6 anni, multe da 1.000 a 10.000 euro e si procede d'ufficio «se il fatto è commesso da più di 50 persone allo scopo di organizzare un raduno dal quale possa derivare un pericolo per l'ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica». «Era ora - conclude Molinari - che si prendessero provvedimenti. Occorre, però, vigilare soprattutto sul web. È lì che nascono i rave party, che i giovani si danno appuntamento. È lì che, soprattutto dalla Germania, dall’Olanda o dalla Spagna, arrivano inviti alla partecipazione di raduni clandestini a base di droga. È un mondo da tenere sott’occhio e fermare».