POTENZA - Due cuori e un prefabbricato. Sgangherato. Di quelli che erano stati costruiti per ospitare i terremotati del 1980. Elena e Michele non erano ancora nati quando la terra sconquassò la Basilicata e l’Irpinia, ma vivono nell’emergenza post-sisma per evitare di finire sotto i ponti. Come molti altri che, in tutti questi anni, hanno trovato in Bucaletto, la cittadella del terremoto sorta alla periferia di Potenza, un rifugio, un tetto, un riparo. Il problema è che quei prefabbricati, dopo quarant’anni, sono ridotti in pessime condizioni, con infiltrazioni d’acqua, muffa, freddi d’inverno e caldi d’estate. Senza lavoro e senza reddito, Elena e Michele si fanno forti del loro amore, rinvigorito dall’arrivo di un secondo figlio, «speciale», unico, fragile. Oggi ha 6 anni ed è alle prese con una disabilità motoria che gli impedisce di essere completamente autonomo. Quel prefabbricato in cui vivono, già assolutamente inadeguato ad ospitare una famiglia di quattro persone, è una montagna insormontabile. Altro che barriere architettoniche. Agli stenti dovuti alla mancanza di un lavoro, si è aggiunto un problema che tocca nel profondo, che sfregia l’anima di chi vede un proprio figlio imprigionato, oppresso, costretto in quattro mura (crepate) che gli impediscono finanche di entrare in bagno con la sua carrozzella per farsi una doccia.
Elena e Michele sanno bene che non possono permettersi un appartamento ed erano rassegnati all’attesa di quella casa popolare promessa ai residenti di Bucaletto. Prima o poi, scorrendo le graduatorie, sarebbe toccato pure a loro. Ma l’arrivo di un bambino «troppo delicato» ha cambiato la visione del presente e del futuro. «Vorrei garantire a mio figlio gli spazi di vivibilità», dice Elena. È lui la priorità. Più del lavoro che non c’è, della mancanza di soldi per pagare le bollette, della povertà. Se non ci fosse quel bambino tanto amorevole quanto bisognoso di attenzioni, oggi Elena e Michele avrebbero continuato a stringere i denti, a barcamenarsi in quei pochi metri quadri di precarietà. «Piove acqua dal tetto - spiegano - e ci ritroviamo spesso animali dentro casa. Ci sono chiari ed evidenti problemi igienico-sanitari. Con nostro figlio in queste condizioni non possiamo più andare avanti». Di qui l’appello al Comune di Potenza per trovare una migliore sistemazione. Ma alle promesse non sono seguiti fatti. La disperazione, si sa, spesso annebbia le idee e neutralizza la ragione. Michele, spinto dal disagio e dalle difficoltà del figlio, ha deciso di occupare abusivamente un locale destinato ad ospitare la Casa Domotica, una struttura a disposizione dei disabili. È ancora vuota, inutilizzata. Qui gli spazi sono decisamente più ampi del prefabbricato, ma viverci, soprattutto d’inverno, è un’impresa proibitiva. Non c’è luce, né riscaldamento. Michele ci va qualche ora durante la giornata per dare modo alla compagna e ai figli di avere una maggiore agibilità all’interno del prefabbricato. «Mi ci sono infilato - racconta Michele - perché non sappiamo proprio come fare. Mi hanno denunciato per questo, ma devono comprenderci, siamo esasperati». Il loro grido d’aiuto riecheggia nel capoluogo lucano. In città molti conoscono la loro storia, a cominciare dall’amministrazione comunale. Ma fino ad oggi tutto si è risolto in pacche sulla spalla e parole di vacua comprensione.