energia

Gas, in nome dell’emergenza si riaccendono le trivelle in Basilicata

Massimo Brancati

Nove comuni lucani ricorrono al Tar del Lazio contro il Pitesai

POTENZA - Nove comuni della Basilicata (Atella, Baragiano, Barile, Lavello, Maschito, Montemilone, Rionero, Ripacandida e Venosa), insieme ad altri 15 paesi dell'Abruzzo, della Campania, del Piemonte e della Sicilia contestano il Pitesai, il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, recentemente adottato dal ministero della Transizione ecologica. È stato presentato un ricorso al Tar del Lazio per chiedere l'annullamento di questo provvedimento che fa ripartire le estrazioni di gas sospendendo, di fatto, la moratoria del 2019. Stando ai comuni, il piano è da ritenere illegittimo. A organizzare l’iniziativa e ad unire i Municipi è stato il Coordinamento nazionale «No triv». Gli amministratori contestano il Pitesai perché, a loro dire, il quadro che ne deriva dalla sua adozione «non è quello di una pianificazione rigorosamente definita, come la legge 12 del 2019 avrebbe voluto», ma lascerebbe aperte le porte a ogni soluzione possibile e immaginabile, quando invece c’è bisogno di certezze.

Di emergenza in emergenza si può, di fatto, fare ciò che si vuole e come lo si vuole. «Siamo in emergenza», si chiedono i primi cittadini, e si può derogare a qualunque norma. E se l'emergenza ha «funzionato» come un carro armato in materia sanitaria e in tema di guerra, perché per l'energia dovrebbe essere diverso? In nome dell'emergenza, dunque, anche per la cosiddetta transizione ecologica, norme e regolamenti, piani e attribuzioni di competenza, potranno andare a farsi benedire. Le decisioni verranno centralizzate e, soprattutto, ogni intervento verrà sostanzialmente deregolamentato. Non sarà la sconfitta della burocrazia, ma la vittoria della deregulation. Con quali effetti concreti sulla crescita, lo sviluppo e l'efficienza, è tutto da vedere.

Per esempio, il Pitesai inserisce tra le aree non idonee alle estrazioni quelle già note per legge, come la linea delle 12 miglia dalla costa, le aree marine protette, le zone Sic e Zps. A queste zone, durante la redazione del piano, ne sono state aggiunte altre in cui le prospezioni e le estrazioni di gas saranno vietate. Ma mentre per le prime i vincoli di esclusione sono assoluti (nessuna trivella vedrà mai la luce attorno ad un'area marina protetta) per le seconde invece i vincoli sono relativi. Comuni e ambientalisti temono che questi nuovi territori, aggiunti in sede di piano a quelli non idonei, possano tornare ad essere, per motivi di emergenza, oggetto di nuovi progetti di trivellazioni e nuove ricerche. In quanto, su questi territori, a differenza di quelli esclusi per legge, non c'è la garanzia di una tutela perenne. La loro attuale non idoneità, a giudizio dei comuni, potrebbe essere rivista anche in tempi brevi dal ministero qual ora lo scenario politico e soprattutto economico dovesse cambiare.
Secondo la posizione dei comuni, il Pitesai è illegittimo anche perché arrivato fuori tempo massimo. Il documento doveva essere approvato entro il 30 settembre del 2021, ma la pubblicazione in Gazzetta ufficiale è avvenuta l’11 febbraio 2022, ben oltre il termine previsto.

«L’unico atto che il Mite ha adottato in tempo utile - si legge nel ricorso curato dall'avvocato Paolo Colasante - è il decreto Vas del 29 settembre 2021, n. 399». E c'è poi il problema degli effetti cumulativi degli impianti di estrazione e quello della mancata distinzione tra gas e petrolio. «La Basilicata, così stando le cose, rimane nel mirino delle multinazionali – sottolinea Francesco Masi, portavoce del coordinamento lucano No triv - perché il Pitesai stabilisce che i due terzi del territorio sono idonei o parzialmente idonei alle estrazioni». Una tegola per i sindaci che invece si aspettavano uno stop alle estrazioni.

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