Il focus
«Culle vuote» in Basilicata: lo spopolamento è già realtà
L'ultima rilevazione Istat fotografa gli effetti di emigrazione e denatalità
Culle vuote ed emigrazione giovanile rischiano di trasformare la Basilicata – nel giro di trent'anni, secondo le proiezioni Istat – in una «terra di nessuno». Accanto al tasso delle nascite pari a 6,9 per mille, uno dei più bassi d'Italia, il territorio lucano sta assistendo impotente alla fuga di intere generazioni. Un crac demografico certificato dall'ultima rilevazione dell'istituto di statistica (datata 2019) secondo cui gli abitanti in Basilicata sono 553.254, con una riduzione di 24.782 rispetto al precedente monitoraggio che risale al 2011.
I lucani, soprattutto i giovani, emigrano non per il piacere, la curiosità, la volontà di misurarsi con altre sfide e nuove occasioni. Ma per assoluta mancanza di opportunità a casa loro. E poi l'adolescenza (o la condizione di aspettativa che a quell'età si collega) – come in una esasperata «sindrome di Peter Pan» – si spinge fino a quarant'anni e oltre. Quelli che un giorno erano uomini fatti, adulti, sono oggi considerati (e in parte si percepiscono) come giovani in permanente attesa di trovare un loro spazio nella società dei produttori. L'incertezza permanente, la precarietà diffusa, porta i ragazzi a non osare costituire una famiglia. Organizzare una casa. Porta alla rinuncia di mettere al mondo figli. La denatalità e la ripresa dell'emigrazione (interrotta o, comunque, limitata in questi due anni dalla pandemia con il blocco dei viaggi, il condizionamento delle scelte universitarie e l'annullamento di colloqui di lavoro) costituiscono un mosaico in cui s'inserisce un terzo tassello, ovvero il progressivo invecchiamento dei residenti.
In Basilicata è un fenomeno che ha ritmi superiori alla media nazionale: in ogni paese si registra un divario sempre più evidente nel rapporto tra anziani e under 30 e l'età media tocca 47,6 anni a fronte dei 45 in Italia. Nell'ultimo decennio la popolazione nella classe d'età 0-14 anni è passata dal 14,2 per cento del totale all'11,2 per cento, mentre gli over 65 dal 20,1 per cento al 23,6 del 2019. I due capoluoghi, infine, registrano una percentuale di popolazione over 65 sopra la media Ue (33 per cento): Potenza è al 36,9 per cento, Matera al 36. Continuando di questo passo la Basilicata si ritroverebbe nel 2035 con la stessa popolazione dei primi dell'Ottocento, vale a dire 482.531 cittadini, e con il 70 per cento dei residenti costituito da pensionati. Una riserva geriatrica tra i Calanchi, le Dolomiti lucane e l'Appennino.
Sempre che la regione continui ad esistere. Già, perché la spietata legge dei piccoli numeri è in agguato e può dare fiato a chi, ciclicamente, parla di uno spacchettamento del territorio lucano tra Puglia, Calabria e Campania, in sintonia con il modello teorizzato negli anni Novanta dalla Fondazione Agnelli. Un sortilegio che la Basilicata ha impresso nel suo Dna di piccola regione: basti pensare a come l’hanno bollata, in un passato non recente, studiosi come Paolo De Grazia («Basilicata non è nome di una regione, ma di una circoscrizione amministrativa», scriveva nel 1926) o Umberto Toschi («è residua, racchiusa com’è dalla Campania a nord-ovest, dalla Calabria a sud e dalla Puglia a sud-est, con le loro spiccate individualità»). La Basilicata, in sostanza, viene percepita da costoro come una sorta di indistinto. Di aggregato residuale. E lo spopolamento in atto, purtroppo, rischia di rinvigorire certe tesi sfaldatrici.