Potenza - Per i sindacati potrebbe innescare uno «tsunami», capace di travolgere fino a 15mila lavoratori e di far schizzare il tasso di disoccupazione nella migliore delle ipotesi al 12 per cento. Per Confindustria, invece, servirebbe a rivitalizzare le imprese in difficoltà o che necessitano di adeguarsi ai mutamenti di una economia ancora alle prese con una pandemia colpita ma certamente non affondata.
Lo stop alla proroga del blocco dei licenziamenti «divide», ma al momento non comanda nessuno, poiché la lotta tra le differenti rivendicazioni non accenna a placarsi. E nel mezzo ci sono i lavoratori di alcuni comparti, come quello metalmeccanico, edile o manifatturiero, che dal primo luglio rischiano di rimanere stritolati e senza occupazione, con prevedibili quanto gravi conseguenze a livello di tenuta sociale. Le organizzazioni di categoria si chiedono che senso abbia, per Confindustria, spingere in maniera ostinata verso lo sblocco dei licenziamenti, con il rischio di perdere aiuti ed ammortizzatori.
Le aziende, dal canto loro, ricordano che della cassa Covid intesa come contropartita al non licenziare finirebbero per usufruirne anche imprese ormai stanche, con lavoratori oggi inadeguati, da ricollocare o formare.
Il segretario generale della Cgil lucana, Angelo Summa non ci sta. «Bisogna scongiurare la proroga del blocco dei licenziamenti almeno fino a quando non ci sarà una riforma della struttura degli ammortizzatori sociali», evidenzia il sindacalista. Se la cig ordinaria è legata a situazioni congiunturali e quella straordinaria a condizioni strutturali, la cassa Covid vive di vita propria ed è legata all’evento pandemico. «Bisogna rivedere - insiste Summa- l’intero sistema, prevedendo misure di ricollocazione e di riqualificazione della forza lavoro. Ma la riforma dovrà ridefinire anche i criteri per la cassa integrazione, azzerando il tetto massimo di 52 settimane nel biennio, ormai già raggiunto da tante aziende».
Nel 2020 la cassa integrazione Covid ha evitato il licenziamento di almeno settemila persone ed il tasso di disoccupazione è rimasto fermo a poco meno dell’11 per cento. Ma le stime dei sindacati in vista della ripresa della possibilità di licenziare fanno lievitare la già preoccupante soglia dello scorso anno. «Avevamo chiesto - continua Summa - una proroga al 31 ottobre, per impedire i licenziamenti nei settori dell’industria o dell’edilizia. Fino a quella data, il terziario non è ancora interessato ma prima o poi toccherà anche a quel comparto. Ma la nostra richiesta non è stata accolta». Dal primo luglio in poi, insomma, in Basilicata potrebbero esserci ripercussioni gravissime.
I settori più colpiti? Enrico Gambardella, leader della Cisl regionale ha pochi dubbi: «Si potrebbero perdere - commenta - fino a 15mila posti di lavoro entro la fine dell’anno. A rischio, nel settore metalmeccanico, c’è soprattutto l’indotto di Melfi, già nell’occhio del ciclone per via del processo di ridimensionamento avviato da Stellantis per la Fca. Ci sono poi l’edilizia ed il comparto chimico-energetico, per una evoluzione molto spinta delle modalità organizzative. Ci sono quindi il terziario, il commercio, il manifatturiero, tradizionalmente più fluidi di altri a livello di occupazione. Nel materano e a Matera città sono stati già registrati contraccolpi negativi e potrebbe andare sempre peggio».
«Lo sblocco dei licenziamenti produrrebbe un effetto a catena nella nostra economia», evidenzia il segretario regionale della Uil, Vincenzo Tortorelli. «Non bisogna - prosegue - tagliare l’occupazione, ma semmai riqualificare le professionalità. Chiederemo un incontro al presidente della Regione, Vito Bardi, per avviare un piano di rilancio e di sviluppo in Basilicata, che dia sostegno alle imprese e ai lavoratori. Se le aziende si libereranno della forza lavoro, lo scenario sarà devastante, un durissimo colpo per la nostra economia».