NEW YORK - Un pugno allo stomaco. Questo deve aver sentito Barack Obama quando nella notte che ha cambiato l'America ha visto il sogno di Hillary Clinton sgretolarsi. Perché quel sogno era anche la garanzia di consolidare i suoi otto anni alla Casa Bianca. Di portare avanti il lavoro iniziato e la sua visione di un Paese multiculturale e di una società inclusiva.
Donald Trump ha spezzato questa speranza, e ora si appresta a spazzarla via, cancellando o stravolgendo con un Congresso potenzialmente tutto dalla sua parte quella eredità che il primo presidente afroamericano della storia pensava di lasciare come una traccia indelebile. Invece la sua unica vera riforma, l'Obamacare, sarà probabilmente la prima vittima a cadere sotto i colpi del nuovo corso. E dall’immigrazione alle politiche economiche, per non parlare della politica estera e delle relazioni internazionali, c'è da aspettarsi un radicale cambio di direzione.
Se ne deve fare una ragione il presidente uscente. Lui, uno dei presidenti più amati e popolari di sempre, non è riuscito a convincere tutti quegli elettori che nel 2008 e 2012 gli avevano tributato un trionfo: in Florida, in Ohio, in Iowa e in tutti i principali stati chiave. Paga una Hillary che non è riuscita più di tanto a scaldare i cuori e paga la rabbia di tanti americani, e la sottovalutazione di questa rabbia. Perché se l’America è ripartita dopo la grande crisi, questa ripresa non viene percepita da gran parte della popolazione, che ancora si lecca le ferite e non vede un miglioramento della propria condizione. Ecco allora che invece che a un 'terzo mandato Obamà ci si è aggrappati alla speranza di cambiamento radicale promessa da Trump.
Alla Casa Bianca - raccontano le voci - in pochi pensavano fosse possibile una tale debacle. «Lascio un Paese migliore di otto anni fa», afferma orgoglioso Obama dal Rose Garden della Casa Bianca, mentre si appresta ad incontrare il successore che ha invitato a poche ore dall’esito del voto. Il compito del presidente uscente non è ancora finito. Davanti c'è una transizione lunghissima, fino a gennaio inoltrato, da portare avanti: la più difficile di sempre se si pensa alla scarsissima stima reciproca tra Barack e Donald. Mentre il primo sarà tra pochi giorni ancora una volta in Europa quando dovrà spiegare ai principali leader europei (Matteo Renzi compreso) cosa è successo. Perché il timore di un effetto domino che favorisca i populismi del Vecchio Continente è reale.
Intanto per Obama si profila un ruolo che continuerà ad essere di leadership in un partito democratico che proverà a ripartire ancora da lui dopo il clamoroso tonfo. Da lui e da una figura amata come Michelle Obama che - nonostante i ripetuti 'nò della oramai ex first lady - in molti vedono come la 'salvatricè in vista del 2020.