Mercoledì 29 Ottobre 2025 | 01:05

Vita, mito e morte di un boss mafioso

Vita, mito e morte di un boss mafioso

 

Mercoledì 11 Gennaio 2012, 10:40

03 Febbraio 2016, 00:19

«Ditegli che si facesse il segno della croce ogni mattina perchè è un giorno in più che ha campato...». Leggenda di malavita vuole che l’ambasciata al morto che cammina colpevole di aver picchiato una persona cara al boss, Giosuè Rizzi gliela fece arrivare dal carcere, sentenza di morte poi eseguita negli anni Ottanta da un killer giunto da fuori città e mai identificato. 

Leggenda. Come quella che vuole sia stato proprio Giosuè il primo picciotto foggiano ad aver prestato giuramento di camorra alla fine degli anni Settanta davanti a don Raffaele Cutolo, capo della Nuova camorra organizzata, nel summit in un locale vicino il capoluogo dauno dopo una fuga dal carcere di Ascoli Piceno. 

Tra mito, voci e realtà giudiziaria Giosuè Rizzi ieri mattina è morto per mano ignota, morte violenta di chi ha fatto della violenza una scelta di vita, trascorrendo ben 38 dei 59 anni di vita dietro le sbarre. Amante della pittura, hobby scelto per passare le ore, i giorni, le settimane, i mesi, gli anni, i decenni in una cella di 2 metri per 3, con un discreta tecnica come si potè apprezzare in una mostra di quadri dieci anni fa sul viale della stazione; appassionato di scacchi («se mi batte, giudice allora sì che mi pento» altra leggenda), con il vizio del bere, Giosuè Rizzi è molto lontano dall’autoritratto che ha fornito nel libro «Giudizio e pregiudizio» edito nel marzo scorso. Gli va dato atto di non aver mai scaricato sulla società (non la «Società», ossia la mafia foggiana di cui fu capo negli anni Ottanta) le scelte di una vita sbagliata, dove i periodi di libertà erano rincorse di vita tra notte in discoteche a bere sempre di più, che si alternavano alle lunghissime detenzioni. 

«Nessuno mi ha puntato la pistola alla testa per costringermi a fare questa vita», ha scritto onestamente, ma taciuto su tutto il resto fedele alla regola dell’omertà di chi ne avrebbe avute di storie da raccontare, di misteri da risolvere. Il vero Giosuè Rizzi non è il certo il carcerato protagonista di decine e decine di scazzottate e accoltellamenti in varie carceri d’Italia per difendere il proprio onore e prendere le difese di carcerati più deboli come lui si è accreditato nel libro-intervista. 

Il vero Giosuè Rizzi è (e verrebbe da dire era) il boss che lega il suo nome alla strage Bacardi del primo maggio dell’86 quando in un circolo privato di piazza Mercato, a due passi da casa sua, quattro persone (tre uomini ed una donna) furono uccise in un regolamento di conti per la laedership di Foggia. E Rizzi in quella primavera dell’86, tornato libero da qualche mese dopo una lunghissima detenzione e già la fama di boss tanto che i picciotti lo chiamavano zio Giò quasi con devozione, non ne voleva sapere di spartire il territorio e gli affari di droga (pur se per questo reato non è stati mai condannato) con altri foggiani e forestieri. La strage Bacardi fu l’importazione in città della strategia camorrista dello sterminio dei rivali; fu il clou cruento e tragico della prima delle cinque guerre di mafia della ultraventennale storia della «Società». 

La strage Bacardi fu il «marchio» di Giosuè Rizzi, arrestato all’indomani del massacro, scarcerato dopo sette mesi nel dicembre dell’86 per insufficienza d’indizi, riarrestato nel settembre ‘88 (quand’era già detenuto da qualche mese per estorsione) grazie a nuovi indizi e condannato a 29 anni per quel delitto. «Quella notte io ero chiuso in un garage con una donna, non sono stato io», Giosuè a quella versione è rimasto fedele nei... secoli: nel primo interrogatorio reso ai poliziotti quand’era ancora caldo il sangue delle vittime, nei processi, nel libro. Condannato a 30 anni per cumulo pene (quadruplice omicidio, mafia, armi, estorsione), Rizzi rimase in cella ininterrottamente dal 17 febbraio dell’88 (la figlia nata il giorno dell’arresto per anni l’ha vista solo dietro le sbarre o in aula durante i processi) al 15 maggio del 2009, quando fu posto alla detenzione domiciliare per motivi di salute per scontare l’ultimo anno di pena. 

Il 14 novembre del 2009 fu arrestato per evasione e resistenza a pubblico ufficiale durante un controllo della Polizia ad un’auto passata con il rosso in viale Ofanto. E’ l’ultima condanna che ha collezionato a un anno e quattro mesi, ribadita in appello con la Cassazione che si sarebbe dovuta pronunciare sul ricorso difensivo a fine gennaio. 

Rizzi era tornato libero il 16 novembre del 2010. Gli fu applicata la libertà vigilata con obbligo di rincasare entro le 18: la Questura gli vietò, per ragioni di ordine pubblico, di presenziare alla presentazione del libro in librerie foggiane nel marzo scorso: c’era il timore che la sua presenza richiamasse tra l’uditorio malavitosi pronti ad omaggiarlo. Chissà se ieri, quando la violenza ha posto fine ad una vita sbagliata, Giosuè nel rendersi conto della fine che arrivava con 4 proiettili, si sia finalmente pentito di una vita sbagliata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)