«Ostaggi selvaggi»

Carmen Lasorella, dalla Lucania con rigore: l'amazzone del giornalismo

ALBERTO SELVAGGI

Icona del Tg2, prima inviata di guerra tv. Sfida alla morte e alla Rai

Scusami ma che cos’è ‘sto Bombino di cui chiedevi con insistenza al cameriere che pare non saperne nulla?
«Perché, non ne hai sentito parlare manco tu? A bacca bianca, un vitigno antico. Il buon vino esprime l’anima e la cultura di un territorio: e l’oste ha affermato che non tratta vini pugliesi, assurdo».

Boh. Non ci capisco un aspide. Anche in enologia e viticoltura non sono la Carmen Lasorella che sei tu.
«Perché non riconosci l’importanza dell’alimentazione. La giusta dieta ha tutelato la mia salute negli anni da inviata di guerra per la Rai in ogni parte del mondo. Dubito sarei sopravvissuta iniettandomi vaccini a ripetizione».

Prima amazzone del giornalismo tv. Fino al 1987 c’era stata soltanto Oriana Fallaci per la carta stampata, che però, come mi hanno raccontato colleghi illustri, si catapultava strillando sotto i letti d’albergo al primo fischiare di bombe.
«Partii per la prima volta l’anno della mia assunzione, agosto, quando erano in ferie i più. Africa, Medioriente, America Latina, Asia, corrispondenze da 60 paesi suppergiù».

Io mi fermerei a Disneyland, se hanno già ingabbiato la Banda Bassotti.
«Ognuno ha le sue attitudini. Io ho avuto questo desiderio romantico e libertario di esplorare, di spiccare il volo fin dagli anni verdi. Sono nata alle due del mattino a Matera per caso: mia madre aveva farmacia a Grassano e quel giorno la strada per Potenza era bloccata da una nevicata. Ho un fratello secondogenito, Giacomo, che dopo trent’anni di carriera alla Camera è oggi presidente di Agcom. E dai genitori ho ereditato le virtù del sacrificio e del rigore: Salvatore, cioè “don Totore” per i conoscenti e per gli amici “Totore”, avvocato, ufficiale, partigiano, capitano leggendario del Potenza Calcio che ci ha lasciati dieci anni fa, e mamma Angela “Lillina”, anche se preferiva “Lilla”, orfana in tenera età. Ho fatto la gavetta in quotidiani, periodici, agenzie, radio. Attaccavo alle sei del mattino con la rassegna stampa della Sip, odierna Telecom, proseguivo come precaria nella tivù pubblica preparando corti e alle 18 mi aspettava l’Ansa, redazione economico-sindacale e archiviazione digitale fino a mezzanotte».

E così, amazzone rassicurante del giornalismo catodico, falcata dopo falcata sei arrivata all’appuntamento con la morte.
«Nel 1995 rimasi vittima di un agguato a Mogadiscio dov’ero stata varie volte. Il fuoco incrociato ci tenne in ostaggio per 38 minuti nella Land Cruiser. Marcello Palmisano, mio amico e compagno di lavoro, stava rannicchiato accanto a me. Quando venni ferita dalle schegge e l’abitacolo prese fuoco mi preparai alla fuga. E soltanto allora capii che Marcello era morto. Sangue ovunque. Breve sequestro, riconoscimento alla morgue, inchieste della magistratura, polemiche sul diritto di cronaca, depistaggi, insinuazioni completarono il lavoro dei cecchini somali».

Scusami Carmen, non so quale effetto ti faccia ricordare per l’ennesima volta. Uno strano indovino in piazza Navona ti predisse l’accaduto.
«Non ti devi preoccupare. Questo è ciò che rimane della mia vita che cambiò da allora. Lasciai il Tg. Seguirono programmi di rete in prima e seconda serata, la corrispondenza da Berlino, direzione generale a San Marino, la presidenza di RaiNet a Roma. Ma l’ad di allora si dimostrò sordo alle necessità di innovazione. È finita il 2014 con un contenzioso per demansionamento che ho vinto, preferendo però lasciare l’azienda che mi aveva dato tanto ricevendo molto».

Il destino scrive trame argute. Proprio per te, icona insuperata del Tg2 che con Lilli Gruber rendesti dinamica la conduzione.
«Mi dà un po’ ai nervi che con tutto ciò che ho fatto la gente mi identifichi sempre in quel ruolo».

Perché non eri una semplice conduttrice, bensì immaginario su tema di cronaca. Altrimenti saresti svanita come una notizia appena spento il microfono. Del giornalismo permane soltanto il come e non cosa.
«Io comunque attraversai lo schermo d’istinto. Non studiai quell’approccio. Era naturale fissare il telespettatore coinvolgendolo in una vera partecipazione. Arrivavo alla messa in onda di corsa, verificando le informazioni fino all’ultimo, scrivevo ogni parola di mio pugno lasciando le frasi a metà per tenere viva l’attenzione con annotazioni. Potendo scorrevo in anticipo le immagini, dialogavo con corrispondenti e redazioni».

Il trucco.
«Il trucco? Facevo da sola impiegando un terzo del tempo necessario a mani altrui. Il mio mentore è stato Antonio Ghirelli, mi mise in onda e, boom. Ma non furono soltanto rose e fiori. Nel tg craxiano non avevo protezioni politiche, non ero amante di nessuno per cui ne ho ingoiati di rospi».

Come per la candidatura alla presidenza della Basilicata lasciata cadere dal Pd l’anno scorso perché non eri certificata della cricca loro.
«È stata un’esperienza amara. Mi sono ripresa dopo mesi grazie all’uomo meraviglioso che ho accanto ora. Siamo cattolici, siamo credenti, impegnati nel volontariato, grati per i doni ricevuti, felicemente fuori dal mainstream e viaggiamo tanto per luoghi bellissimi in moto».

Tuttavia il magnetismo paga e il tg ore 13 del secondo canale divenne tuo. La fama ti segue nonostante centellini le apparizioni, mentre la non altissima Gruber imperversa su La7 coi fichetti nuovi quale feticcio residuale radical sciccoso.
«La competizione tra me e Gruber è stata creata dai giornali e dai sondaggi. Lei trasgressiva, io affidabile. Lei amante ideale, io da sposare. Ma sul lavoro siamo rimaste distanti. Direi, estranee una all’altra».

Arrivavi in Rai inguainata in tute di pelle nera sulle tue moto tonitruanti. Centaura su due ruote, cavallerizza su quattro zoccoli.
«Negli anni dell’adolescenza studiavo, praticavo atletica, judo, pallacanestro, tennis e amavo i cavalli, confermo, sicuro. Ho giocato anche a calcio e a pallavolo, grazie a mio padre ho vissuto come sfida lo sport. Ma la moto era sogno. A 14 anni balzai in sella al mio Morini 50 Corsarino a quattro marce e a quattro tempi. Uno schianto. Sparivo per ore, corse e solitudine nei boschi. Avevo amici contadini e pastori, leggevo o mangiavo un panino con loro. Attualmente ho una Honda vintage e una Moto Guzzi V7 III Stone 750 oro».

La stavo acquistando anch’io, proprio di quel colore.
«Bravo, allora quando la vendo vengo giù e te la compri tu».

Seee, e i «sld»? Cioè, i soldi, come dicono a Conversano?
«Ce li hai i soldi. È che ti vedo poco deciso nelle svolte, anche in auto poco fa».

Va bene, d’ora in poi farò soltanto quello che dice l’inviata di guerra; Carmen, sarai per sempre la mia mammina.
«No, al massimo sarò il tuo caporale».

Comprendo l’origine della frase: definisti tua madre in questo modo, in senso pedagogico.
«Mia madre ha contribuito a temprarmi, molto, mi ha inculcato il senso del dovere, come mio padre la generosità e la coerenza. Siamo legate profondamente. Ha 102 anni e, con giusta misura, continua a fare il bagno, dato che passa da me le estati al mare sul litorale pontino».

Madonna del Carmine. Siete donne bioniche.
«Anche questa è tenacia, capacità di reggere ai cambiamenti, capisci?».

Eh, capisco, un po’. Difatti mi ha impressionato la tua capacità di adattamento alle asperità del territorio, ispidezze umane, tutto. E mi ha scioccato il particolare che viaggi tenendo l’occorrente in una singola borsetta da passeggio comoda. Sono un pirata, sono un signore, non posso ficcarci il naso, ma che ci metti là dentro tu?
«E perché ti stupisci, scusa? Sono da sempre una fan di Mary Poppins».

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