BARI - La poesia gliela leggi nello sguardo. Il ricordo che non si è affievolito alimenta il desiderio di raccontare un mondo che, forse, non esiste più nelle essenze dei dolci come in quelle magiche che profumavano l’atmosfera e di commerciale non avevano nulla.
La signora Maria, 74 anni, non ha mai smesso di preparare per i suoi cari i «biscottini di Santa Lucia». La signora, schiva, preferisce porre in risalto il piatto natalizio e restare in anonimato.
Regnano ordine e pulizia nella sua casa come nella mente lucida di chi è pronto a snocciolare memorie. I biscottini di Santa Lucia, ovvero una tradizione per celebrare il 13 dicembre ma che si estende da sempre al periodo di Natale. «Penso che questa tradizione sia esclusiva di Casamassima, non credo si facciano altrove», dice.
Tradizione e fede religiosa si mescolano. Tutto nasce da una chiesetta accanto al cimitero cittadino, lungo la via che porta ad Acquaviva. La mamma svegliava alle 4 la bimba e la piccola Maria come tutte le coetanee si incamminava la mattina del 13 dicembre per 2 o 3 chilometri. La tradizione è viva ancora oggi anche se le messe all’interno della chiesetta attualmente hanno inizio alle 6.
Dunque, si giungeva alle 4,30 in chiesa per assistere alla prima Eucaristia. La strada era piena di gente incolonnata e l’aria era già carica di aspettativa per la Natività. Dopo la funzione, si faceva festa con dei dolciumi appositamente preparati.
Oltre ai biscottini, si cucinavano anche le più comuni pettole, frittelle di pasta fresca a forma di palline tondeggianti. Si impastava un po’ di farina con olio, latte e zucchero. L’impasto doveva essere lavorato dalle mani sapienti della mamma fino a farlo diventare un insieme morbido. Poi si copriva il tutto con un panno per evitare che si asciugasse. L’impasto veniva messo a riposare per poi essere scomposto in rotolini.
«Io ne faccio dieci, per esempio», spiega. Ciascun rotolino era lavorato con il dito indice. Il dito compie un moto particolare che solo la mano esperta può eseguire. «Per un chilo di pasta servono due ore». Si riponeva tutto nel forno e si attendeva mentre il calore inondava l’atmosfera riscattando il freddo, patito di prima mattina. Si estraevano già indorati. Si preparava la glassa.
In un recipiente si disponeva una certa quantità di zucchero messo a riscaldare sulla fiamma con poca acqua: «Quanto basta per bagnarlo. Si attende e nello stesso tempo si mescola con una spatola di legno», la voce dell’esperienza. Lo zucchero si solubilizzava nell’acqua. Poi si prelevava una goccia tra due dita soffiando per evitare di scottarsi. Quando lo zucchero filava, una parte dei biscottini già preparati si versavano nella teglia. Si girava e rigirava sino a ricoprirli completamente di zucchero.
Nella teglia era rimasta una certa quantità di zucchero cui si aggiungeva qualche goccia di estratto liquoroso. Questo conferiva un colore rosato allo zucchero e si versava sui biscottini finchè non si ricoprivano di colore rosa e bianco. La signora li prepara ancora oggi come molte famiglie a Casamassima.