I dati

Le forbici di Calderoli potrebbero tagliare i Comuni di montagna di Puglia e Basilicata

Leonardo Petrocelli e Antonella Inciso

In Puglia ne rimarrebbero solo 14 realtà. Andreano (Anci): rivedere i criteri. Il provvedimento è stato bloccato in Conferenza Unificata. Ministero disposto all’ascolto ma il problema resta

Non solo l’Autonomia differenziata. Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali, mette nel mirino anche la montagna ridefinendo i criteri per assegnare il relativo status ai Comuni. Vale una cifra su tutte: con l’applicazione del nuovo Dpcm di classificazione, al momento stoppato dalla Conferenza Unificata, i Comuni montani italiani passerebbero da oltre 4mila a 2.884, riducendosi in Puglia ad appena 14 realtà (nei Monti Dauni, in particolare, si passa da 27 a 12). Una sforbiciata notevolissima che colpisce in primo luogo il Mezzogiorno ma scontenta profondamente anche il Nord con l’Anci e le realtà territoriali sul piede di guerra, mentre il Ministero si dichiara disposto al confronto.

In sintesi, il provvedimento individua due criteri fondamentali per definire «montana» una realtà. Il primo prevede che il territorio comunale si trovi - per almeno il 25% - 600 metri al di sopra del livello del mare con una superficie caratterizzata (dal 30% in su) da una pendenza superiore al 20%. Si tratta di cifre sostanzialmente in linea con la legislazione europea che ricalcano anche la consueta «soglia altimetrica» italiana (600 metri) utilizzata per separare montagna e collina. Il secondo criterio, invece, si riferisce ad una altimetria media superiore ai 500 metri sul livello del mare. Una disposizione più morbida che permette al Mezzogiorno di recuperare qualche numero (7 Comuni in Puglia e 27 in Molise ad esempio). C’è poi un terzo elemento, chiaramente compensativo, che punta a considerare montani quei Comuni (sopra i 300 metri) che risultino circondati da altre realtà comprese nell’elenco. L’obiettivo, secondo il governo, è ridurre la platea per meglio collocare le risorse (sanità, istruzione, incentivi alle imprese) previste dalla legge 131/2025 - la «legge sulla montagna» - elaborata dallo stesso esecutivo Meloni e giudicata positiva dalle comunità interessate.

Ma il problema, ora, sono i criteri di classificazione. «C’è un tema di fondo», sottolinea Noé Andreano, sindaco di Casalvecchio di Puglia e vicepresidente Anci Puglia con delega alle Aree interne: «Quando parliamo di montagna dovremmo parlare di “zone” montane e non di “Comuni” montani. Il riferimento non può essere il mero territorio di una amministrazione e non è difficile capire il perché: tanti Comuni limitrofi a quelli posti più in alto, pur registrando quote altimetriche più basse, soffrono degli stessi identici problemi, a cominciare da quelli demografici ed economici. Altrimenti - prosegue - avremo uno schema a macchia di leopardo che taglia fuori molte realtà senza dare loro nulla per compensazione». L’idea di razionalizzare, secondo l’Anci, non è del tutto sbagliata, figurando tra le realtà «parzialmente montane» anche Roma e Bologna. Assurdità all’italiana. «E tuttavia - riprende Andreano - la classificazione non dovrebbe solo obbedire a logiche numeriche ma comprendere anche l’aspetto socio-economico. Purtroppo viviamo una fase caotica in cui le aree interne si allargano a dismisura, comprendendo anche chi non ne avrebbe bisogno, e invece il club montano, per così dire, si riduce sempre di più».

I benefici di cui i Comuni montani godono, infatti, toccano la «carne viva» della realtà comunitaria: la scuola con le deroghe al dimensionamento scolastico, le politiche di contrasto allo spopolamento. E poi la sanità, le infrastrutture, gli incentivi alle imprese. Insomma, ciò che consentirebbe ai paesi di conservare un minimo di autonomia senza essere fagocitati dai centri più grandi. «Rilanciare - conclude Andreano - significa immaginare politiche strutturali sull’intero territorio e non semplicemente fino alla fine di un’amministrazione comunale. La legge sulla montagna contiene elementi positivi ma questi criteri di classificazione invalidano proprio quelle buone intenzioni. Il Governo faccia un passo indietro».

IL CASO DI BICCARI

C’è un paradosso tutto pugliese che racconta, meglio di qualsiasi analisi, i limiti dei nuovi criteri di classificazione dei Comuni montani. Nel territorio dauno di Biccari sorge la vetta più alta di Puglia, cioè monte Cornacchia, con i suoi 1151 metri di altitudine. Eppure, Biccari non rientra nell’elenco elaborato seguendo i nuovi parametri perché il territorio comunale si estende a valle sotto l’altimetria indicata. Un «caso emblematico», come commenta il sindaco Antonio Beatrice
Sindaco, come avete accolto il Dpcm?
«Già da diverse settimane mi confronto con i primi cittadini dell’area dei Monti Dauni. È evidente che così non va».
I criteri sono sbagliati?
«Possono andar bene per una classificazione di altro tipo. Ma qui parliamo di risorse, spopolamento, servizi. Roccaraso, pur essendo in alto, non ha gli stessi problemi che abbiamo noi».
Quindi cosa bisognerebbe fare?
«Introdurre criteri anche di natura sociale ed economica. Legati cioè a problemi concreti che le realtà della zona condividono»
Un esempio?
«Il ridimensionamento scolastico. Se andiamo fuori, tutti gli sforzi fatti per conservare un po’ di autonomia sarebbero vanificati. Verremmo fagocitati da Comuni più grandi come Lucera». 

IN BASILICATA MONTA LA PROTESTA (di Antonella Inciso)

«C’è agitazione tra i sindaci, soprattutto tra quelli i cui comuni sono rimasti fuori». Sono le parole di Gerardo La Rocca, presidente dell’Anci di Basilicata, a raccontare lo stato d’animo di molti amministratori lucani di fronte alla nuova legge sulla montagna che ridefinisce i criteri per ricevere i fondi. In una Regione che è composta per larga parte di piccoli Comuni, molti dei quali fino a ieri rientranti nelle precedenti norme, gli ultimi criteri presentati dal Governo rappresentano una spada di Damocle. «La revisione dei criteri per i Comuni montani presentata dal Governo rischia di escludere territori effettivamente montani in Basilicata e in altre regioni, basandosi solo su altezza e pendenza. Serve affiancare indicatori socio-economici per non penalizzare comunità fragili e imprese locali» spiega il presidente dell’Anci lucana che sottolinea come gli effetti si riverberino anche sulle attività produttive.
«Il problema oltre sui Comuni che sono rimasti fuori impatta sulle attività produttive. Le imprese agricole, in particolare, saranno penalizzate: sono il cuore dell’economia montana, legate a produzioni tipiche e sostenibili. Escluderle da incentivi e misure specifiche metterà a rischio la loro competitività e la salvaguardia del territorio. Grazie alla legge sulla montagna, poi, ci sono risorse che i Comuni non avrebbero più» continua il presidente La Rocca che parla di «beffa» e tira fuori la questione altimetria. «Il problema è perché le scelte si fanno sull’altimetria reale e non su le mappe dei Comuni ? – dice - Le imprese agricole chiedono questo, perché ci sono aziende agricole che vivono a mille metri, hanno a valle i comuni e non usufruiscono degli stessi benefici di imprese che hanno i comuni a mille metri».
«I Comuni e le imprese esclusi perderanno risorse e opportunità, indebolendo la loro capacità di presidio del territorio e sviluppo» conclude. Per questo continua il rappresentante dei sindaci lucani «chiediamo un confronto con il Governo per criteri più inclusivi e misure di accompagnamento». Un confronto che attraverso un documento condiviso dell’Anci sarà ufficializzato nei prossimi giorni. Intanto, mentre i sindaci lucani si preparano a dare battaglia, il Consiglio Regionale ha approvato un ordine del giorno, proposto dal capogruppo del Pd, Piero Lacorazza, con cui si impegna la Giunta a rappresentare nella Conferenza Stato–Regioni «la contrarietà ai criteri di classificazione dei comuni montani adottati dal Governo». «La legge nazionale sulla montagna in fase di attuazione rischia di classificare i Comuni montani basandosi quasi esclusivamente sull’altitudine del centro abitato privilegiando i territori alpini e penalizzando quelli appenninici, come molti Comuni lucani - viene sottolineato negli atti dell’ordine del giorno - pur caratterizzati da forte fragilità sociale, economica e demografica. Non vengono adeguatamente considerati isolamento, accessibilità, densità abitativa, servizi, condizioni economiche e identità storica dei territori».

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