lessico meridionale

E ho imparato che... il medico è un filosofo

Michele Mirabella

Curare gli altri e comunicare: è un’arte lunga che rende «amici della tecnica» ma anche dell’uomo

Il prof. Orazio Schillaci è un medico, professore universitario di Medicina Nucleare. È il Ministro della Salute nel Governo italiano ed è stato ospite del programma televisivo Elisir che conduco per Rai Tre da 30 anni. Gli dedico questa riflessione che rivolgo ai lettori della Gazzetta. Il Ministro ne conosce, certo, il dettato.

La medicina è una pratica basata su scienze e che si esercita in un mondo di valori. È un’arte lunga, una tèknemakré, che conta, come medicina laica, due millenni e mezzo di vita. Questa tecnica e arte, nata con Ippocrate, intrattiene da sempre un rapporto stretto, istituzionale, con l’informazione. In considerazione, anzitutto, con quella originaria, l’informazione che, 2500 anni fa come oggi, origina dal paziente, deriva dai suoi sintomi soggettivi, comunicati al medico tramite l’ascolto della sintomatologia e della storia narrate dal malato e che deriva dai segni oggettivi della malattia, trasmessi cognitivamente attraverso l’esame obiettivo e tramite l’esercizio della tecnica sensoriale e strumentale di cui il medico disponeva e dispone. Si tratta di un’informazione prioritaria, fondamentale, che è, nello stesso tempo, intersoggettiva e oggettivante, legata per un verso a un vissuto elaborato dall’anamnesi e per altro verso a un linguaggio del corpo elaborato dall’approfondimento diagnostico.

Da questa prima fase che possiamo definire di «inferenza induttiva», nel senso che l’informazione nasce e cresce per apporto progressivo di elementi di conoscenza dei dati e accumulati per induzione dal particolare al generale. Si passa a una seconda fase che possiamo definire di «interpretazione deduttiva» e che muove dal generale al particolare, una fase in cui all’informazione dal paziente fa seguito l’informazione sul paziente, acquisita confrontando i dati posseduti con un quadro di riferimento consegnato alla trattatistica e noto al medico attraverso lo studio e l’aggiornamento. In questo passaggio il paziente diventa un caso clinico, il suo caso si inscrive in una casistica la quale si riferisce a una tipologia e l’informazione, da patrimonio duale di medico e paziente, si trasforma in patrimonio «plurale» condivisibile con altri medici, validabile da un lavoro in équipe, archiviabile in una memoria trasferibile, tramandabile, comparabile, controllabile. In altre parole, una cultura condivisa.

Ma l’informazione, nata dal paziente e incrementata dai rilievi sul paziente, ritorna al paziente attraverso canali di comunicazione adeguati a garantirgli autoconoscenza, ad acquisirne il consenso, a rendere consapevole e responsabile la sua compartecipazione al processo di cura. Appartengono a questa fase i momenti importanti della verità da dire al malato, del consenso informato, dell’educazione allo stile di vita, dello stimolo all’autoeducazione. L’informazione al paziente culmina qui, nell’informazione «per» il paziente, cioè, in un atto già per sé, terapeutico, che potremmo vedere rispecchiato nell’antico aforismo: «il buon medico è la prima medicina».

In tutto questo lungo percorso, l’informazione risulta, per così dire, intrinseca all’esercizio del sapere e del potere da parte del medico, omogenea alle sue conoscenze e ai suoi modi di fare, congruente e integrata organicamente alla sua professione, applicata a controllare l’osservanza e l’inosservanza di regole diagnostiche e terapeutiche codificate dalla comunità medica (e anche a controllare l’osservanza e l’inosservanza delle norme di corretta gestione della spesa sanitaria).

Oggi come ieri, oggi come sempre e, anzi, oggi sempre di più, l’informazione inerisce alla medicina per intima appartenenza e per diretta influenza. Possiamo parlare di metamorfosi dell’informazione «in medicina», dovuta all’irrompere della complessità nell’ambito delle conoscenze e delle pratiche mediche. La totalità è una categoria filosofica che inerisce alla medicina delle origini e che dovrebbe aver a che fare con la medicina di ogni tempo. Il medico ippocratico che esercitava la tèchneiatriké, l’arte del curare, nello iatrèion o bottega o ambulatorio nella piazza del porto o del mercato, si ispirava alla tèchnekibernetiké del nocchiero (il medico) che pilotava il naviglio pericolante, (il paziente) verso l’approdo nel porto sicuro (la guarigione).

Nullusmedicusnisiphilosophus: «Non c’è medico che non sia filosofo». L’aforisma dell’antico «collega» significava che il medico, in quanto detentore dell’arte del curare, doveva possedere la philosophia, comprensione globale e suprema di sintesi diphilantropia e philotecnia. Uno dei più significativi precetti medici recitava che «dove c’è filantropia c’è anche filotecnia»: il che significava che per essere veramente «amico dell’uomo», bisognava usare nel modo migliore le risorse dell’arte, facendosi «amico della tecnica».

Con Elisir ho imparato tutto questo e altro. Il professor Schillaci, medico, ospite della trasmissione, non ha bisogno di lezioni. Io, da lui, ho tutto da imparare.

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