Lessico meridionale

Quei furbi briganti che popolano l’Italia

Michele Mirabella

Salto acrobatico per sbrigare il cattivo gusto del Fascismo impostore di una lingua italiana obbligata con la marziale arroganza del tiranno e la complicità del D’annunzio

Le parole sono spesso decisive. Riassumo pagine di storia letteraria per servire il lettore: una specie di Bignami (ricordiamo?).

Dante che non è il primo a pensare e a usare in volgare, è coniatore di parole e costrutti verbali, li cura, non lascia al destino ciò che inventa. Ne assume le responsabilità. Il Petrarca usa materiale linguistico vario: la tradizione poetica italiana, latinismi, gallicismi, idiomi provenzali e neologismi da lui inventati. Usa parole non comuni, anche in rima, per stupire. Lo stile del Boccaccio oscilla tra la prosa fiorentina alta, colta, con sintassi elaborata, ricca di latinismi e una prosa più realistica, che caratterizza le novelle. Lezione che interesserà tutti gli scrittori italiani, Machiavelli compreso, e arruolerà il Guicciardini, l’Ariosto, il Tasso, novellisti e poeti fino al Goldoni in scena preziosa. Molti sciacquarono i panni letterari in Arno e Manzoni trovò che la necessità fosse impellente, pensando di far nascere il romanzo capolavoro. Ma non facciamola troppo lunga. Pirandello mi perdonerà.

Salto acrobatico per sbrigare il cattivo gusto del Fascismo impostore di una lingua italiana obbligata con la marziale arroganza del tiranno e la complicità del D’annunzio.

Mussolini fu un epigrammatista. Zelanti caudatari riempirono i muri d’Italia di suoi motti, invettive o incitamenti. Si trova tutto e il contrario di tutto, com’è ovvio nei casi della propaganda. Ma, se non altro, non si smentì mai: lasciò ai tirapiedi il compito di mettere delle pezze quando sbracava. Faceva passare per indiscrezioni idee e concetti che aveva deciso di far trapelare. Stabiliva lui anche quali spiate dovessero diventare di dominio pubblico. Era aiutato dal fatto che non aveva bisogno di comprare un giornale o di cambiarne il direttore per farsi assecondare. Lo chiudeva e basta.

Chi intercetta la nascosta e rancorosa volontà dei furbi e li sdogana, in Italia, spesso ha fortuna politica. Nella jaquerie qualunquista, può dire con Mussolini: Governare gli Italiani non è difficile, è inutile.La democrazia dell’Italia libera e repubblicana lo smentirà. La modernità semplicistica fu, poi, di Berlusconi pubblicitario che escogitò «Forza Italia»: prese una per una, due belle parole, messe insieme diventano un partito. Ma generano anche parole brutte come «forzista». E il Cavaliere, intelligente, lamentò un sapore negativo del neologismo e chiese di chiamare i suoi iscritti «Azzurri».

«Nomina suntconsequentia rerum» sentenzia Giustiniano e i Latini avvertono: NomenOmen, nel nome, il presagio. È noto che Cicerone contro Verre si accontentò di citare il nome dell’avversario: in latino, «Verre» evocava il porco. Finezze estranee alle moderne contese: si da direttamente del maiale a qualcuno. In Italia, il maiale si fa carico di denominare chi ecceda in pratiche sessuali e si prodighi con tenacia nel disbrigo di queste, anche in ambiti, diciamo così, eterogenei. Insomma è un «puttaniere» si dirà nel ‘900. In Toscana la versione femminile «maiala», e non scrofa, è utilizzata per inveire e insultare le donne della famiglia dell’avversario. Il maschio che largheggia in conquiste femminili, notoriamente riscuote simpatie e solidarietà. Escludo, quindi, che le prodezze erotiche, a volte comprovate dalle intercettazioni, possano scalfire, nel sentire italiota, il prestigio di certa classe dirigente. I sondaggi lo confermano. Anzi, i nostri compatrioti aggiungerebbero un sovrappiù di stima per la furbizia dimostrata.

Prezzolini segnalava tra gli Italiani un ingente gruppo di furbi, anzi sosteneva essere quasi la metà della popolazione a giudicarne i caratteri sommari. La furbizia è talento scemo e questo può sembrare, a torto, un ossimoro. Scemo nel senso di manchevole. L’Italiano è furbo e, nella sua anima, latita il senso della comunità e, per questo, la sua intelligenza è lacunosa. Il furbo svicola, arranca, taglia per scorciatoie anche in campo morale, ha scarso senso dello stato e considera la legge un limite allo sforzo arrogante del suo ingegno arbitrario. Il piacere di comandare resta più ingente di quell’altro, ma, almeno, il demagogo se lo deve guadagnare.Se comandare è meglio che sacrificare a Venere, i potenti si sono prodigati per non farlo sapere in giro e hanno incaricato saggi e poeti d’insegnarci a diffidare del comando, i quali, pontificando, hanno avvisato che al trono s’avvinghia il maligno, sentenziando che comandare è faticoso, difficile, pericoloso. Così i popoli si sono mantenuti prolifici e le stanze del potere sono state abitate da pochi, casti, furbi. Ma il Foscolo, in buon italiano, avverte «In tutti i paesi ho veduto gli uomini sempre di tre sorte: i pochi che comandano, l’universalità che serve e, in giro, molti a brigare».

Dal che s’evince che, mentre la massa degli ubbidienti copula, fatica e serve restando all’oscuro della libidine del comando ben nota ai potenti, i briganti si divertono più di tutti. Fanno tutte e due le cose. Qualche volta, persino in lingua Italiana.

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