lessico meridionale

L’insostenibile inutilità di... troppe parole

L’Italiano è furbo perché nella sua anima latita il senso della comunità e, per questo, la sua intelligenza è lacunosa

Ci sono tautologie e tautologie. Titolare «Trafiletto» un trafiletto è una tautologia visto che si vede a occhio la brevità. E se ne scrivo 5 o 6 per sperimentare una conversazione tra molte riflessioni, ognuna delle quali meritevole di sviluppo? Non è più un trafiletto. Sono divagazioni, forse. Torniamo alle tautologie.

Ce ne sono di vere ed apparenti: dire che un quadrupede ha quattro zampe è tautologia vera, ma dire che un «uomo è un uomo» è apparente: si tratta d’un rafforzativo. Così come asseverativo e non tautologico è dire: «le donne sono donne». È rinviare alle peculiarità delle donne che ci persuadono tanto, ma, spesso, è si usa il triviale e ammiccante luogo comune che buono non lo è affatto quando si aggiunge un infame «del resto». L’inerziale greve linguaggio da bottiglieria annovera, parlando di donne, un conclusivo «Aho! la guerra è guerra». Questa tautologia è, dati i tempi, ancora più terribile.

Terribile, diciamo della guerra. La guerra che non finisce mai se non si vince la pace, come dicono gli ospiti in TV. Terribile, però, può diventare un attributo subliminale, encomiastico sottilmente, allusivamente elogiativo in virtù di doti riposte o di peculiarità che, sotto sotto, piacciono. Vedete anche come la duplicazione di una parola ne alteri il significato. Sotto sotto Ivan il Terribile ebbe una sua grandezza, apprezzata, nei «terribili» anni della giovinezza, nei «terribili» cineforum. «Sei terribile», detto in uno sfasamento occasionale dell’intimità erotica può essere una ansante constatazione. Segue risatina e bacio. «Terribile» detto del frugoletto, è al limite del compiacimento per la precocità mentale. Terribile non atterrisce più, ci siamo abituati. Ah, il terribile destino delle parole. che sono importanti, decisive. Dante onomaturgo, coniatore di parole, le cura, non abbandona al destino ciò che inventa. Se ne assume le responsabilità.

Berlusconi escogitò Forza Italia: prese una per una due belle parole, messe insieme diventano un partito. E generano anche parole brutte come «forzista». Funziona così. E il Cavaliere, adombrato, lamentò un sapore negativo del neologismo e chiese di chiamare i suoi iscritti «azzurri». Spiacente, la parola, era già occupata dagli sportivi. Si rischiava di fare confusione.

Mussolini promosse l’orribile e blasfemo «Sansepolcristi», dal toponimo milanese indicante la piazza che cullò lo squadrismo. Prima di inventare un partito è prudente azzeccarne il nome. I nomi. Nomina suntconsequentia rerum sentenzia Giustiniano e intende ordinare la materia delle donazioni. Dante cita le Istitutiones per sentenziare d’amore, parola cui non possono corrispondere che dolcezze. E i Latini avvertono: NomenOmen.Nel nome, il presagio. È noto che Cicerone contro Verre si accontentò di citare il nome dell’avversario: in latino voleva dire porco. Finezze estranee alle moderne contese: si da direttamente del maiale a qualcuno. Più difficile prelevare dalla contesa politica l’insulto. Troppo stagionato «fascista». Qualcuno usa ancora pateticamente «comunista», convinto di offendere. Si potrebbe, per questa intelligenza, mutuare ancora dal latino: Lucus a non lucendo, si chiama bosco perché non vi penetra la luce. Intellegentia a non intelleghendo.

I lettori intelligenti, cioè tutti, hanno colto il mio continuo heridicebamus, questa specie di domino per cui l’incipit d’ogni divagazione conversativa s’ispira talora alla parola conclusiva del precedente. Intelligenza, dicevamo. A tutti sarà capitato di sentir dire dai professori, non a noi direttamente, s’intende, ma ai nostri genitori o a chi ne faceva le veci: «È intelligente, ma non si applica». Non mi è mai capitato di sentir dire il contrario: «È un cretino totale, ma si applica moltissimo». L’avrebbero bocciato senza pietà. Bocciavano, comunque, anche gli intelligenti scapestrati e renitenti, ma con più soddisfazione. C’era, poi, il limbo degli studenti che si applicavano pur essendo intelligenti. Erano un po’ tristi e consideravano gli altri molto più furbi.

Prezzolini segnalava tra gli Italiani un ingente gruppo di furbi, anzi sosteneva essere quasi la metà della popolazione a giudicarne i caratteri sommari. La furbizia è talento scemo e questo può sembrare, a torto, un ossimoro. Scemo nel senso di manchevole. L’Italiano è furbo perché nella sua anima latita il senso della comunità e, per questo, la sua intelligenza è lacunosa. Il furbo svicola, arranca, taglia per scorciatoie anche in campo morale, non ha senso dello stato e considera la legge un limite allo sforzo arrogante del suo ingegno arbitrario. Chi intercetta la nascosta volontà dei furbi e li sdogana, in Italia ha fortuna politica.

Comincia con la jaquerie qualunquista, poi potrebbe dire con il Mussolini del 3 gennaio di cent’anni fa per imporre la sua dittatura: «Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io ne sono il capo!» Ma ha anche detto: «Governare gli Italiani non è difficile, è inutile».Ma lo disse prima o dopo l’aberrante sfida? Al prossimo trafiletto.

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