Lessico Meridionale
Quando per gli auguri di Natale serviva il francobollo
E i nostri barbieri di una volta accoglievano i clienti con una ripulita energica al Salone e con qualche rustico abbellimento
I nostri barbieri di una volta, arrivate le feste di Natale, accoglievano i clienti con una ripulita energica al Salone e con qualche rustico abbellimento. più altolocati esercizi: con due primari alle poltrone, un comprimario per le barbe dei giovani e un ragazzino figurante per «la spazzola» finale sul paletot degli avventori generosi di mance natalizie, esibivano addirittura un presepio illuminato tra le specchiere.
La grotta ruvida di santa sobrietà finiva per odorare di dopobarba e le sue figurine facevano uno strano contrasto tra la picaresca spettacolarità di carta stellata abitata da pastorelli lungo criniti o da vecchi suonatori di cornamusa malinconicamente stempiati e lo shampoo con lozione o la sfumatura bassa raccomandata dall’ostinato giovane di belle speranze, non tutte riposte nella finzione santa del presepio. Tuttavia l’intenzione di spicciola religiosità popolare trascendeva il contrasto tra quel luogo deputato alle minuscole vanità maschili e la missione simbolicamente salvifica del Presepio e San Giuseppe sembrava ammiccare al principale per richiamare la sua attenzione professionale alla sua bella barba fluente e la sua canizie aureolata, entrambi bisognevoli di un solerte barbiere.
Gli esercizi più modesti si accontentavano di formulare pensieri augurali: ostentavano sugli specchi, per la clientela, una scritta fatta di lettere ricavate da arzigogoli bianchi di ovatta appiccicati con la colla che significava gli auguri del principale e dei lavoranti a tutti coloro che sceglievano il salone. E questo era tutto, sufficiente a garantire gli spiccioli agli aiutanti: un messaggio per frequentatori noti e abituali, ma, anche, passanti e clienti occasionali. Quello che si chiama, nella teoria della comunicazione, un messaggio unidirezionale a percettori teoricamente innumerevoli. Come sono la radio e la televisione quando non si coniugano con l’uso del telefono e, il tutto, con lo strapotere del computer.
Il vecchio, caro telefono, invece, era un mezzo che garantiva una comunicazione bidirezionale tra due soli interlocutori, ma è diventato un mezzo che permette una comunicazione pulviscolare: da uno a tutti e tutti per uno. Sempre in combutta con l’informatica.
Sotto le feste questa potenzialità si manifesta in maniera esplosiva ed è aiutata da facilitazioni tariffarie che consentono una esplosione spaventosa del traffico dei messaggi scritti. Chiunque può, con sforzo esiguo, a volta con un semplice pigiare di un pulsante, inviare a tutti i titolari dei numeri custoditi nella rubrica lo stesso messaggio. Nel caso delle feste, lo stesso striminzito, e stucchevole pensierino. I più pratici riescono a tagliare dall’indirizzario i numeri di enti, società, creditori e nemici giurati, ma molti trascurano questa misura e fanno di tutt’erba un fascio di destinatari che vengono, così, gratificati di auguri da persone di cui possono aver smarrito ogni ricordo. C’è che manda gli «affettuosi auguri a te e famiglia» al radiotaxi, a persone defunte, all’INPS, alla Asl, a nemici giurati, al rappresentante di tessuti per corredi, ad ex fidanzati ormai sposati con figli, alla badante bulgara dello zio. Trovo che questa abitudine sia micidiale. Sono perseguitato da messaggi di questo tipo. I più ridicoli sono quelli che manifestano accenti retorici e indulgenze letterarie, nonché quelli con le battute di spirito o quelli in rima. Insopportabili quelli che i doppi sensi: per la befana vi lascio immaginare cosa siano capaci di articolare con la parola scopa.
Questa moda è il massimo del minimo della buona educazione: gli auguri che dovrebbero scaturire dal sincero accento di affetto e di solidarietà, diventano il prodotto di un automatismo frigido e falso che è attivato solo dalla facilità di uso del mezzo che, a sua volta, facilita operazione nate, al contrario, per essere il frutto di un atto preciso di volontà che qualcosina doveva pur costare. Magari solo l’acquisto del francobollo, lo spremersi le meningi per un pensiero originale, l’esercizio minuscolo della calligrafia, la spedizione con la necessità dell’andare a imbucare la cartolina o il biglietto. Si accertava, così, una certa selezione naturale che restringeva molto l’agenda dei destinatari e non accentuava le tendenze ipocrite e le bugie.
Se, poi, la voglia è quella di augurare a tutto il mondo la pace di Dio e dare all’umanità la buona notizia della nascita del bambino Gesù come annuncio di salvezza, lasciamo perdere il telefonino con la sua rubrica e i convenevoli e andiamo a trovare un vecchio solo, una creatura abbandonata a diversa ragione in questa immane città della comunicazione e facciamo a loro l’augurio di pace e di salvezza e, magari portiamoceli a casa. Impariamo dall’angelo svolazzante sulla grotta, postino di un impareggiabile messaggio unidirezionale a tutti, nessuno escluso dalla rubrica del Padreterno: «Pace in terra agli uomini di buona volontà». Quella che serve anche a dimostrare di amare senza schiacciare un pulsante. Poi cerchiamo un barbiere che ostenti neve d’ovatta e stelle dorate sullo specchio. E leggiamogli questo articolo. Forse si attrezzerà offrendo di nuovo i giornali ai clienti.