SERIE A

Dopo la sconfitta il Lecce riflette e cerca soluzioni

fabrizio nitti

Un 4-1 tanto pesante, lascia margini al pensiero positivo? È tutto da buttare via, quanto dimostrato dal Lecce sul campo dell’Atalanta?

È possibile estrarre note positive da una sconfitta senza attenuanti come quella di Bergamo? Un 4-1 tanto pesante, lascia margini al pensiero positivo? È tutto da buttare via, quanto dimostrato dal Lecce sul campo dell’Atalanta? Domande lecite dopo la domenica che ha consegnato i salentini all’ultimo posto, seppur non in solitudine. La premessa è che è davvero troppo presto per aprire processi, che la salvezza si conquista strada facendo e che il calendario non è stato poi tanto amichevole nei confronti dei giallorossi. È chiaro che quattro schiaffi in pieno volto fanno sempre male e innescano dubbi e incertezze che andranno subito messe a tacere, magari a cominciare dalla prossima, delicata sfida interna di venerdì sera al Via del Mare, dove arriverà il Cagliari dell’ex Guido Angelozzi. Dalle sconfitte c’è sempre da imparare, le sconfitte vanno poi «vivisezionate» alla ricerca degli antidoti giusti.

La sensazione è di una squadra ovviamente in rodaggio dopo aver cambiato parecchio in ruoli anche decisivi quali possono essere il «centrale» difensivo o il centravanti. I nuovi, quattro dal primo minuto a Bergamo, devono calarsi nella realtà italiana, ma al tempo stesso va accelerato il loro processo di inserimento.

La trasferta di Bergamo lascia in eredità tanto altro, oltre al passivo inequivocabile. La classica medaglia con due facce. Da dove, dunque, ricominciare? Dai primi 40 minuti di gioco circa, cioé fino alla distrazione su calci da fermo che ha consentito all’Atalanta di passare in vantaggio (bravo Scalvini, ma è chiaro che la reattività della fase difensiva giallorossa è stata ridotta). Per larghi tratti della prima frazione di gioco, la formazione salentina ha giocato praticamente alla pari contro i più quotati avversari, un po’ come avvenuto contro il Milan nella precedente sfida interna. Accorta tatticamente, pulita nel palleggio, con i tempi giusti negli inserimenti. È mancato però il guizzo giusto, l’istinto del killer, la palla-gol limpida, fors’anche la cattiveria necessaria per mandare all’aria il piano di battaglia bergamasco. È chiaro che nel 4-3-3 molto dell’azione offensiva è poggiata sugli esterni alti, sono loro che in teoria devono creare superiorità numerica, quindi, potenziali palle gol. È altrettanto chiaro che Stulic, un combattente nato, punto di riferimento importante, deve essere messo in condizioni di giocare anche di faccia alla porta e non sempre di spalle.

Il Lecce è poi sparito dopo il secondo gol atalantino, praticamente dall’inizio della ripresa. Un segnale poco incoraggiante, anche se l’Atalanta non è iscritta al campionato che dovrà affrontare il Lecce e la difficoltà alta della partita era un fatto noto. Ma «sparire» dal campo in quella maniera è un fatto che va rimarcato con la matita rossa. La differenza tecnica era evidente, ma una «provinciale» non deve mai rinunciare alla prerogativa principale, cioé la lotta con il coltello fra i denti. Oltre a rendere la manovra giallorossa più imprevedibile e maggiormente incisiva (N’Dri ha dato molta vivacità, sarà il caso di testarlo dall’inizio?), è soprattutto su questo che dovrà intervenire Di Francesco. È la lezione numero uno che va assorbita dalla sconfitta in terra bergamasca. Si può perdere, come ha detto il tecnico a fine partita, ma non si può mai uscire dal campo prima del novantesimo minuto.

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