«Bene la mappatura genetica dei lupi e le fototrappole, ma la cartellonistica da sola non basta e si può introdurre la soluzione del collare ai feromoni».
Le associazioni animaliste che si occupano della tutela dei cani intervengono dopo la diffusione delle linee guida di Regione e Provincia, che in due incontri che si sono svolti a Palazzo Adorno a Lecce e nel Centro di recupero fauna selvatica di Calimera, hanno illustrato le azioni mirate alla conoscenza del lupo, la cui presenza sta diventando stanziale su tutto il territorio dopo almeno un secolo di assenza.
Il ritorno del lupo non è stato indolore, perché si sono registrati numerosi casi di aggressioni agli animali domestici e a quelli di allevamento, con le veementi proteste dei padroni e degli allevatori. Ora gli enti stanno adottando alcune mosse che le stesse organizzazioni di volontariato giudicano positive.
«Il ritorno del lupo nel Salento è un fenomeno spontaneo conseguente alle politiche di protezione della specie adottate negli ultimi decenni - hanno spiegato gli esperti del progetto “Hic sunt lupi” nel corso dell’incontro di sabato sera a Calimera - la legislazione vigente non permette misure di contenimento come abbattimenti o rilocazione se non in rari casi estremi».
La distribuzione della cartellonistica nelle aree protette sarà affiancata da alcune azioni significative come il posizionamento di fototrappole per monitorare la specie e l’analisi della genetica per evidenziare eventuali ibridazioni, attraverso la raccolta di campioni come feci, peli e saliva. Iniziative che rientrano nel progetto scientifico Hsl, nato dalla collaborazione tra l’assessorato regionale all’ambiente, Cnr-Iret sede di Lecce e Dipartimento di biologia e biotecnologie “Charles Darwin” dell’Università La Sapienza di Roma.
«Le azioni che stiamo mettendo in campo - ha ribadito l’assessora regionale Serena Triggiani - servono per sensibilizzare cittadini, turisti e agricoltori a una convivenza sicura e consapevole con una specie che rappresenta una ricchezza per i nostri territori e per gli agro-ecosistemi».
Dal canto loro le associazioni animaliste chiedono più informazione e formazione, mettendo sul tavolo una proposta. «Finalmente si va nella giusta direzione e anche noi abbiamo rivisto le nostre posizioni nei confronti della problematica - ha puntualizzato la presidente dell’associazione “Zampa libera”, Raffaela Vergine - ci siamo informati e abbiamo compreso che l’unica strategia è la convivenza. Bene la mappatura genetica e le fototrappole - è il giudizio - ma alla cartellonistica, che da sola non sarà sufficiente, vanno affiancate l’informazione capillare nelle comunità coinvolte e la formazione degli allevatori, per arrivare a livelli ottimali come avviene in altre zone d’Italia come in Abruzzo o sulle Alpi, dove il lupo non rappresenta un problema. Non si trascuri poi la soluzione dei feromoni - suggerisce - che consiste nel mettere al collo di bovini o ovini un collare che riproduce l’odore del lupo, facendo credere all’esemplare che si avvicina di trovarsi nel territorio di un branco rivale».