LECCE - «Da dove vieni?». «Dal mondo… che è uno solo». Due battute veloci sono la sintesi di un percorso lento ma forte come il messaggio che parla di integrazione, meltin’pot di culture, speranza, orizzonti.
Fatima e Adriana sono due cittadine del mondo, l’una afghana l’altra argentina, oggi naturalizzate italiane anzi salentine, testimoni di storie potentissime in cui la Puglia, Giano bifronte terra di esodo ed approdo, si conferma ancora una volta terra di un mare che costruisce ponti di dialogo e accoglienza.
Incontrate a Manduria in provincia di Taranto in occasione del «Sum Sum Festival» organizzato da Naturalmente a Sud, queste donne, l’una ingegnere informatica l’altra commercialista, rappresentano le buone storie che curano l’anima in tempi di distanze siderali erette dall’abuso di social e attitudine al cedimento quando tutto sembra andare storto.
«Sono arrivata in Italia per scavare nelle mie radici – ci racconta Adriana -. Per conoscere la terra di mio nonno Giacomo, nato in Piemonte, ed emigrato in Argentina nel 50, dopo la seconda guerra mondiale. Quando sono arrivata qui ho sentito subito un senso di appartenenza. Le tradizioni sono simili, il cibo ha il sapore di casa mia, e la gente, la disponibilità nell’aiutarmi. Ho conosciuto tante persone in pochi giorni che sono diventate subito amiche e questo ha un valore inestimabile».
Ma non è tutto così facile per gli stranieri, e questo va testimoniato perché gli ostacoli possano essere superati.
«Voglio richiedere la cittadinanza italiana iure sanguinis, per discendenza. Qui in Puglia, credo che non sia una pratica comune, si ha una certa resistenza a farlo, immagino per mancata conoscenza del tema o per paura di qualcosa di nuovo. Lavoro in smart per una azienda argentina, sono commercialista e mi piacerebbe lavorare in una azienda qui, ma è di dominio pubblico che le opportunità per i laureati stranieri siano poche e bisogna ripartire sempre da zero per raggiungere il successo nella propria professione. Ad ogni modo ho deciso di percorrere la mia strada, restare, e ne sono felice».
Ancora più complessa e dolorosa la storia di Fatima, capace di imporsi al padre in Afghanistan per studiare, prima che arrivasse la guerra.
«Ciò che per noi donne afghane non è la normalità è andare a scuola. Per me però andare all’università è stato un po’ impegnativo, perché mio padre pensava che la scuola fosse sufficiente per una ragazza e quindi preferiva che io mi sposassi a 18 anni. Ho insistito per andare all’università dimostrando a mio padre che potevo essere una persona utile per la società. Quando mio padre ha visto quanto ero desiderosa e ambiziosa e felice del mio lavoro ed ha visto che stavo migliorando sia economicamente che sotto il profilo delle conoscenze, ha accettato che iniziassi l’università».
La prima sfida, in realtà la meno difficile. La laurea in ingegneria informatica con tanto studio, l’inizio del lavoro come programmatore poi «siccome la strada della conoscenza per me non ha fine, ho iniziato la laurea magistrale con il supporto di mio marito e l’ho presa».
Il tempo di iniziare a lavorare come docente universitaria ed è arrivata la guerra e da lì la fuga verso l’Italia.
«L’Italia ci ha ospitato con calorosi abbracci e dal momento in cui ci siamo trasferiti qui, non ci siamo mai sentiti in pericolo. Non ci siamo sentiti tristi e non abbiamo sentito alcun tipo di discriminazione. Anche se essere un rifugiato in un altro Paese con una cultura totalmente diversa dalla nostra è molto difficile, il calore del popolo italiano ci ha reso tutto più semplice. I miei figli vanno a scuola. Stanno bene e sono sani e salvi, hanno molti amici italiani. Sembrava difficile che io e mio marito potessimo trovare un lavoro o qualsiasi opportunità di apprendimento nel nostro campo qui, essendo i nuovi arrivati, ma abbiamo trovato delle possibilità lavorative grazie ad un corso di informatica attivato dal centro SAI dove attualmente risiedo, ho avuto altre possibilità da parte loro per incrementare le mie conoscenze e grazie ad un gruppo di persone che lavora nelle Nazioni Unite, che ci ha permesso di accedere ad un corso base di informatica, riservato ai rifugiati politici, ho potuto poi trovare lavoro».
Con due lauree di livello in tasca, Fatima ha dovuto ricominciare a causa del mancato riconoscimento dei titoli afghani in Italia. Ma non s’è persa d’animo, una soluzione davanti a ogni ostacolo. Con umiltà e pertinacia Fatima ha lavorato alla progettazione e sviluppo del sistema cloud di una banca.
«Adesso lavoro sempre per la stessa azienda, ma sono Operation Manager e mi occupo della gestione delle credenziali di stipula assicurazioni sul lavoro».