Ambiente
Lecce, allarme cinghiali a San Cataldo: hanno le ore contate
La Regione interviene dopo l’allarme a San Cataldo. Gli assessori Pentassuglia e Maraschio danno mandato all’Atc per la cattura degli animali. Ma la procedura è tutt’altro che semplice
LECCE - «Non esiste solo l’abbattimento ma anche l’opzione della cattura ai fine dello spostamento degli animali». La soluzione sulla vicenda dei quattro cinghiali visti girovagare liberamente tra le aiuole di San Cataldo la prospetta l’assessore regionale all’Agricoltura, Donato Pentassuglia. E del resto, il Disciplinare attuativo per il controllo numerico della popolazione di cinghiale è stato approvato con delibera di Giunta numero 886 del 26 giugno 2023.
«Si rende necessario - è scritto nel documento - riequilibrare la popolazione di cinghiale presente in Puglia, ricostituire i limiti di tollerabilità della loro presenza tali ridurre i danni alle colture agricole, l’allarme sociale, gli impatti sulla biodiversità nonché i sinistri, e conservare la presenza della specie sul territorio in un rapporto di compatibilità con l’ambiente, a tutela della biodiversità e della sostenibilità dell’agricoltura».
Pentassuglia puntualizza: «Sarà l’Atc (l’Ambito territoriale della caccia, ente regionale con rappresentanti tanto delle associazioni dei cacciatori, tanto di quelle agricole e ambientaliste, ndr) a valutare le modalità di intervento rispetto alle notizie di queste ore». E aggiunge: «L’assessore regionale all’Ambiete Grazia Maraschio ha già contattato i responsabili leccesi dell’Atc cui, a nome mio e suo, ha dato mandato di individuare i percorsi più appropriati. È evidente che non esiste esclusivamente l’opzione dell’abbattimento degli animali, men che meno in loco considerato che siamo in aree urbane. Una volta che saranno catturati si deciderà il da farsi. Possibile il semplice spostamento in un habitat più consono anche per garantire la sicurezza dei cittadini».
Già lo stesso Disciplinare aveva previsto situazioni di presenze dei cinghiali in aree urbane e stabilito come procedere. All’articolo 12 si legge: «Nel caso di circostanze di potenziale pericolo o pericolosità imminente per le attività antropiche o per l’incolumità delle persone, gli interventi necessari (cattura o abbattimento) devono essere effettuati esclusivamente sotto la supervisione di personale in servizio delle forze dell’ordine». Ma come si svolgeranno concretamente le operazioni di cattura?
Qui l’attuabilità in un contesto urbanizzato come quello della marina di San Cataldo appare tutt’altro che semplice. I dettagli sono all’articolo 22 dello stesso documento. «La messa in posto delle strutture - si prevede - è seguita da una fase di ambientamento in cui le gabbie sono disarmate. In questa fase, che può durare fino a due settimane, si provvede al foraggiamento delle trappole una volta al giorno in quantità non eccessive, sia all’interno della trappola che nelle vicinanze della stessa. L’innesco delle gabbie è effettuato nel pomeriggio antecedente il giorno della cattura. Gli animali saranno trasferiti lo stesso giorno. L’idoneità al trasporto viene certificata dal veterinario Asl. Non saranno considerati idonei al trasporto animali con evidenti patologie, femmine che hanno superato il 90 per cento della gestazione, femmine in allattamento, cuccioli di meno tre settimane».
Molto probabile dunque che, per evitare di lasciare le gabbie davanti alle abitazioni, si sceglierà di monitorare gli spostamenti degli animali avvistati a San Cataldo sì da eseguire le operazioni di cattura all’esterno delle zone antropizzate. Nella speranza che i cinghiali non si vadano poi a rifugiare in siti Sic o aree protette. In tal caso qualcuno deve assumersi la responsabilità di autorizzare comunque l’intervento anche per ragioni sanitarie, come il pericolo peste suina africana che azzererebbe l’economia agricola del territorio e ha un termine di trasmissibilità altissimo, visto che si mantiene sul terreno per diversi mesi.