Il ricorso
Lecce, al Tar non solo il Piano delle coste ma anche il Documento del commercio
Contestata l’esclusione di via Leuca per l’insediamento di medie strutture
LECCE - Palazzo Carafa, dopo il Piano delle coste, anche il Documento strategico del commercio viene portato all’attenzione dei giudici del Tar. A bussare, ancora una volta, alla porta del Tribunale amministrativo di via Rubichi è stata una società commerciale, la quale si è vista impossibilitata a svolgere l’attività, in base ai criteri indicati nel Documento varato dal Comune.
In particolare, la società in questione, il 20 settembre scorso ha notificato al Tar il ricorso per l’annullamento della delibera di consiglio comunale 64 del 24 giugno scorso, riguardante, per l’appunto, il Documento strategico del commercio. Ad essere contestata è la parte in cui, stabilendo i criteri ai fini del rilascio delle autorizzazioni per le nuove medie strutture di vendita e le relative possibilità insediative per zone di localizzazione, il Documento non ha incluso anche la «zona C8 - espansione artigianale, commerciale, residenziale» in via Leuca, «verosimilmente per mera svista dovuta al mancato aggiornamento delle tavole del vigente Prg comunale», viene indicato nel ricorso. In questo modo, dicono i legali della società, il Documento istituisce un divieto di apertura di nuove medie strutture di vendita malgrado la piena idoneità e compatibilità urbanistica dell’area interessata».
Un altro grattacapo per il Comune, il cui Ufficio legale si costituirà in giudizio, che giunge immediatamente dopo che un altro imprenditore ha impugnato al Tar il Piano comunale delle coste, che già nei mesi scorsi aveva sollevato critiche e dissensi. È stato Alfredo Prete, titolare di uno stabilimento balneare a San Cataldo, assistito dall’avvocato Bartolo Ravenna, a rivolgersi ai giudici amministrativi per far valere le sue ragioni su una struttura che verrebbe snaturata dal Piano coste.
Prete ritiene che la storica struttura balneare sia pertinenza demaniale, e, in quanto tale, non soggetta alle disposizioni per la trasformazione delle strutture in muratura in strutture amovibili. A riprova di ciò, nel ricorso viene indicato che i titolari dello stabilimento hanno sempre corrisposto i cosiddetti canoni Omi al Comune. E però, nel Piano di Palazzo Carafa, la struttura non viene classificata come pertinenza demaniale.
C’è un altro aspetto evidenziato nel ricorso, che viene ritenuto l’incongruente, vale a dire un «esubero» di 35 metri di lunghezza dell’arenile, rispetto ai 150 previsti dal Piano che, però, lo stesso strumento ritiene non possano essere dati in concessione in quanto sono oggetto di erosione. Una questione, quella degli effetti dell’erosione, che probabilmente verrà contestata da altri imprenditori in altrettanti ricorsi, a breve.