CASARANO (LECCE) - Nadia Rizzello piangerà tre volte durante questa intervista. La prima rilasciata dopo più di trent’anni di silenzio da un familiare delle due vittime del più tremendo omicidio di mafia che il Salento e forse l’Italia ricordi. Piange mentre descrive l’ultima foto di sua nipote, Angelica, scattata pochi giorni prima che venisse uccisa: tutta vestita di rosso, sorride felice all’obiettivo, due dentini le spuntano dalla bocca.
«Due anni e mezzo» dice, a voce bassa. «Io non so come si può far male a un essere così indifeso. Lo sai? All’inizio mi ero illusa. Speravo che l'avessero lasciata vicino ad una chiesa, che qualcuno l'avesse presa, che prima o poi ce l'avrebbero riportata. Forse pensavo ancora che i bambini non si toccano, che la mafia li risparmia: era una illusione». Una illusione smentita da quello che accadde il 20 marzo 1991 nelle campagne di Parabita: due killer affiliati al clan Giannelli sparano alla sorella di Nadia, Paola Rizzello, che ha in braccio sua figlia, Angelica Pirtoli.
La donna, 27 anni, muore. La bimba è per terra, ferita ma ancora viva: sarà uno dei due sicari a finirla a mani nude, afferrandola per un piedino e sbattendola contro un muro. Poi l’ultima crudeltà. I due corpi vengono bruciati e sotterrati separatamente, per eludere le ricerche: la chiamavano lupara bianca, in quegli anni di dominio della Scu nel Salento. Nadia Rizzello piange la seconda volta mentre ricorda quel giorno di sei anni dopo, il 19 febbraio 1997, quando venne chiamata perché erano stati trovati i resti di sua sorella Paola e occorreva che un familiare la riconoscesse. «Quando arrivai nella caserma dei carabinieri di Casarano, su una scrivania c’era una busta trasparente. Mi bastò un attimo per riconoscere gli oggetti di mia sorella».
I gioielli che le sarebbero stati regalati dal capoclan Luigi Giannelli, scatenando la gelosia della moglie, Anna De Matteis?
«Si è detto che erano ori ricavati dalla mafia: è una bugia. Io lo so. Erano i gioielli che a ogni compleanno mio padre le aveva regalato, per questo li riconobbi subito. Scoppiai a piangere a dirotto. Mi credi? Di dolore ma anche di sollievo. Per sei anni ogni giorno avevo penato per andarla a cercare, pensando dove potesse essere, chiedendomi se fosse viva o morta. Sembra strano ma pensai che ora finalmente avrei avuto un luogo dove poterla piangere».
Pensi che tua sorella fu imprudente a avere con sé Angelica in quell’incontro che finì così male?
«Io ho sentito dire che Paola si portava dietro la bambina per proteggersi. Non è per niente vero. Lei non si aspettava che qualcuno le facesse male, proprio perché Paola non ha mai fatto male a nessuno».
Angelica e Paola sono vittime innocenti di mafia?
«Sì, certo. Tutte e due. Mia sorella non ha mai rubato; mia sorella non ha mai spacciato; mia sorella era incensurata; mia sorella non ha mai fatto del male a nessuno. Era una persona libera, diversa dal comune. E per questo meritava la fine che ha fatto?».
Bisognerà poi aspettare altri due anni per ritrovare il corpicino di Angelica. Ti ricordi quel giorno?
«E chi se lo dimentica? Il 25 maggio 1999. Fu ancora più brutto perché nessuno mi contattò: uscii la mattina da casa e vidi le locandine dei giornali, le edicole tappezzate dell'immagine della bambina. L’avevano ritrovata e nessuno mi aveva avvisato».
In questa storia così tremenda ci sono almeno due altre vittime indirette: Antonio Pirtoli, il padre di Angelica; e il figlio maggiore, Alessandro.
«Antonio, mio cognato, è morto di crepacuore un mese dopo che abbiamo seppellito Paola. Non è riuscito neanche a sapere che fine avesse fatto la bambina, che è stata ritrovata due anni dopo.” Qui Nadia piange per la terza volta, si interrompe. Poi inghiotte le lacrime e riprende. “Ma soprattutto Alessandro. Hanno tolto la madre a un bambino che non aveva ancora nove anni e dopo non aveva neanche il coraggio di chiederci “dov’è la mamma?”. Questa storia ha rovinato la vita di mio nipote, completamente».
Alessandro Pirtoli, una volta cresciuto, ha avuto molti guai, anche giudiziari. Anche per questo non ha potuto avere accesso ai benefici che lo stato riserva ai familiari delle vittime di mafia. Il resto della famiglia si è mosso in questo senso?
«Sì, da poco tempo abbiamo intrapreso una causa civile. Per giustizia, innanzitutto. E per quanto mi riguarda lo faccio perché mio nipote, Alessandro, non ha avuto nulla dallo stato e ha bisogno di tutto. Con la mia parte potrò pensare a lui. E anche a un luogo dove, un giorno, riposeremo tutti insieme».
Da alcuni anni molte comunità del Salento hanno voluto ricordare Angelica: è un gesto che conforta o una ferita che si riapre?
«Quella ferita non si è mai chiusa. Mai. Angelica è la più piccola vittima di mafia di tutta Italia. Ce l'hanno tolta, me l'hanno tolta. Sai che il nome glielo scelsi io, che ero la sua madrina di battesimo? Paola volle così. Ora vorrei che quel nome sia onorato e ricordato».
Anche a Casarano?
«Soprattutto a Casarano. Angelica e Paola sono nate e vissute lì. Io non ho mai capito perché il Comune di Casarano non si è mai mosso in questo senso; lo hanno fatto Parabita, Poggiardo, Lecce, Brindisi e li ringrazio per questo gesto anche se mi sarebbe piaciuto essere chiamata, coinvolta. Forse io mi sono chiusa nel dolore, e nessuno è venuto a cercarmi. Questo però voglio dirlo: è una cosa bella dedicare qualcosa, un centro, una strada, una scuola, a queste due innocenti. Perché questo sono tutte e due: anime innocenti».