la macchina del tempo
Quello sbarco storico che infiammò Bari
L’arrivo della Vlora e i discorsi, profondamente diversi tra loro, di Cossiga e (un anno dopo) Scalfaro, sull’allora sindaco
«Nessun rappresentante dello Stato aveva mai espresso parole di riconoscenza verso la straordinaria prova di solidarietà e di grande tensione umanitaria dimostrata dalla città di Bari». Così l’on. Vito Leccese, eletto da pochi mesi deputato con i Verdi, ringrazia sulle pagine de «La Gazzetta del Mezzogiorno» dell’8 agosto 1992 il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, per la testimonianza espressa nei confronti della città. Ad un anno dall’eccezionale sbarco di migliaia di profughi albanesi arrivati a Bari sulla nave «Vlora», lo stesso Leccese ha inviato, infatti, al Capo dello Stato una lettera, nella quale si legge: «Le sarei grato, non solo come deputato barese, ma soprattutto come cittadino, se nel primo anniversario di tale drammatico evento, Lei potesse ricordare a tutta la nazione quanto operato dalla città di Bari». Alla sollecitazione del deputato, che in quei tragici giorni di agosto 1991 era assessore all’Igiene della città di Bari, Scalfaro ha voluto prontamente rispondere con queste parole inviate alla sindaca Daniela Mazzucca: «Non è facile dimenticare le drammatiche giornate di un anno fa, quando, dopo ore di navigazione in condizioni disumane, giunsero a Bari migliaia di profughi albanesi. Lasciavano le loro case e i loro affetti spinti dalla disperazione, così come è impossibile dimenticare lo slancio generoso e spontaneo che, nonostante la grave emergenza e le conseguenti, oggettive difficoltà, la civica Amministrazione e la cittadinanza barese seppero loro riservare. Quella nobile e concreta testimonianza di solidarietà e di grande tensione umanitaria merita pertanto di essere oggi ricordata, rinnovando l’apprezzamento vivissimo della Nazione», conclude il Presidente della Repubblica.
Ben diverso l’atteggiamento di Scalfaro rispetto a quello del suo predecessore Francesco Cossiga, il quale, nei giorni della Vlora, si era reso protagonista di un infuocato conflitto con il sindaco di Bari Enrico Dalfino, reo di aver attaccato la scelta delle autorità centrali di ammassare i profughi albanesi nello stadio e nel porto.
«Non ringrazio il Comune di Bari. Né tanto meno ringrazio il Sindaco di Bari, le cui dichiarazioni sono semplicemente da irresponsabile. Mi dispiace che una città come Bari, generosa, abbia un siffatto Sindaco. Mi auguro che abbia la decenza di chiedere scusa all’autorità di Governo, altrimenti sarà mia cura, come Capo dello Stato, chiedere la sua sospensione dalle funzioni di ufficiale dello Stato», aveva proclamato con fermezza Cossiga durante un incontro con i giornalisti tenutosi dopo un vertice in Prefettura a Bari, da cui il Sindaco stesso era stato escluso.
A Dalfino, inoltre, il capo dello Stato non aveva risparmiato neanche la «poco presidenziale definizione di “cretino”». Piccata la replica del Sindaco: «Quando saprò di cosa devo chiedere scusa, se questo mio comportamento sarà riprovevole sul piano etico o sul piano giuridico, certamente chiederò scusa». Polemiche istituzionali a parte, quello dell’agosto di trentatrè anni fa fu il più grande, iconico e tragico sbarco di profughi mai verificatosi sulle coste adriatiche. «La città ricorderà, probabilmente per sempre, quei giorni. Le tante facce della disperazione, della fame, della sete, ma anche le storie semplici di gente comune che si era trovata sulla nave maledetta e che aveva tentato la fuga. O ancora il dramma dei disertori costretti, poi, a tornare in Albania dove ad attenderli c’era una sicura punizione (se non la corte marziale). Oppure lo stadio «della Vittoria» ridotto a rudere, le cariche della Polizia, gli scontri tra agenti ed i profughi più facinorosi, la banchina del porto gremita di uomini che sembravano formiche. E i soldati, la loro sofferenza, tensione ed esasperazione che si respiravano insieme a quell’indicibile fetore che avvolse Bari per settimane», ricorda dodici mesi dopo sulla «Gazzetta» Gianfranco Moscatelli. «Che cosa rimane ad un anno da quel giorno? Uno stadio ormai ridotto a rudere, una famiglia (quella del guardiano dello stadio) senza casa, l’indelebile ricordo di quei giorni. E, oggi, l’encomio del Presidente Scalfaro». Quel sogno di libertà, però, non è ancora svanito nell’estate 1992: gli sbarchi, sebbene quasi insignificanti in confronto a quello della Vlora, continuano su tutta la costa pugliese. «Italia per loro è ancora sinonimo di salvezza, libertà, fine di tutti i problemi. Ed è per questo che gli albanesi cercano in tutti i modi di raggiungere la loro mèta»: trentadue anni dopo altre persone, di molte altre nazionalità, percorrendo altre rotte e approdando su diverse coste, vivono ancora lo stesso identico dramma.