la macchina del tempo
Da paisano a paisani questa Italia ce la farà
Il 9 luglio 2006 gli azzurri affrontano la Francia e vincono nello stadio olimpico di Berlino: è la quarta Coppa del mondo
«Sapete cosa vi dico, da paisano a paisani, dico che finché l’Italia sarà come quella vista sotto il cielo di Berlino, l’Italia ce la farà sempre, non disperiamo». Così Lino Patruno esordisce nell’editoriale della vittoria: quella che la nostra Nazionale di calcio finalmente si è guadagnata sul campo da calcio, dopo ventiquattro anni di attesa.
Il 9 luglio 2006 l’Italia affronta la Francia, la batte 5 a 3 nello stadio olimpico di Berlino e solleva la sua quarta Coppa del mondo. «Favola Italia» titola il giorno dopo, esattamente diciotto anni fa, a caratteri cubitali «La Gazzetta del Mezzogiorno» con l’iconica foto di Cannavaro che innalza il trofeo in cielo. «L’Italia è una Repubblica fondata sulla resistenza, oltre che sulla Resistenza. E anche sul lavoro, sia chiaro, perché come ce la sudiamo noi non se la suda nessuno. Siamo una vil razza sudata. E che simboli di questa squadra siano stati due gladiatori come Cannavaro e Gattuso, acciaio puro, di quello che non si piega mai, e “pezzenti” di meridionali per giunta, non meraviglia…», commenta ancora il direttore del quotidiano.
La vignetta di Pillinini ben sintetizza l’episodio più eclatante dell’intero match, persino più della quasi inaspettata vittoria azzurra: una ghigliottina chiamata «L’Itaglia» con a terra il capo mozzato di Zidane che recita «Ho perso la testa». Chi non ha ancora in mente la drammatica scena dello scambio di insulti tra Materazzi e il campione francese? Bagarre culminata nella violenta testata, costata l’espulsione dal campo (e una fine ingloriosa di carriera) proprio all’ex calciatore della Juventus. Ma è proprio Materazzi, al di là delle polemiche che seguiranno sulla natura dei suoi improperi contro la famiglia di Zidane, la vera rivelazione di questa finale di Mondiale.
«È onesto dire che l’Italia si prende il mondiale dopo una partita sofferta e spesso subita», commenta Piercarlo Presutti. Ma è anche vero che grande merito va dato alle scelte azzeccate dell’allenatore: «Soprattutto il rigore decisivo affidato da Lippi al piede operaio di Fabio Grosso, uno che fino a qualche anno fa giocava in serie C. Non Totti, opaco e sostituito, né il capocannoniere del campionato, Toni. E neppure Del Piero, che si prende la sua responsabilità e calcia un rigore, segnandolo come tutti gli azzurri chiamati al tiro, ma non l’ultimo. È Grosso, con quella bella faccia mediterranea, il volto vincente di una sera che regala flash da soddisfare generazioni intere». Al suo rigore finale esplode la gioia in uno stadio a larga maggioranza occupato da italiani, molti arrivati da casa ma ancora di più i trapiantati in Germania: «Oggi tanti di questi italiani riprenderanno il loro lavoro, nelle fabbriche, nelle aziende.
Ma con l’entusiasmo di essere nati in un Paese che almeno nel calcio ha dato una lezione di gioco, di forza, di resistenza. Per queste famiglie non è un valore da poco. Si ritroveranno intorno al nome dei loro campioni, dei ventidue azzurri che per un mese li hanno fatto tribolare ma che alla fine gli hanno dato l’emozione di una vittoria così ambita. Ma l’emozione maggiore questi sportivi la ritroveranno tra pochi giorni, quando alla chiusura delle fabbriche torneranno in Italia a trascorrere le loro vacanze. E nei loro paesi di origine già pregustano i capannelli con parenti ed amici. Potranno dire: «c’ero anch’io”». Anche a Bari l’entusiasmo è esploso nelle quattro piazze in cui sono installati i maxischermi – in corso Vittorio Emanuele, a Japigia, a Carbonara e al quartiere San Paolo – e impazzano a fine serata i caroselli, in barba all’ordinanza del sindaco che li ha vietati per motivi di sicurezza. «E come si fa, dopotutto, a bloccare grappoli di giovani stipati in un portabagagli di un’auto in corsa, che sfreccia sulle strade urbane a tutta velocità e con il clacson che suona a distesa?», si chiede il cronista. «Adesso che torno...», ammonisce Michele Emiliano da Berlino. «Stavolta lo potete dire: anche il sindaco di Bari ha urlato “forza Italia”. Questa volta l’ho fatto», scherza al telefono con la redazione della «Gazzetta» rivelando di non essere riuscito però a guardare i rigori perché la tensione era enorme. «Chissà perché, nelle città del Sud la vittoria di un Mondiale ha sempre il sapore di un riscatto sudato e inaspettato» – si chiede Carlo Stragapede sulle colonne del quotidiano – «L’immagine del riscatto è il viso acceso del piccolo, tarchiato ragazzo calabrese, che ha per una volta avuto la meglio contro il team del “bello” Domenech, che nel maxischermo si stropiccia i riccioli ben curati, da novello Luigi XIV. E i ragazzi di Bari vecchia, approdati in piazza Prefettura per sognare, si sentono tanti “Ringhio”».