macchina del tempo
Il post-terremoto in un Sud fragile
L’inchiesta del dicembre 1980 sulla «Gazzetta»
È il 9 dicembre 1980. Su La Gazzetta del Mezzogiorno ci si interroga sul post-terremoto. Sono passate solo due settimane dal tragico evento sismico che ha devastato l’Irpinia e ha provocato danni e feriti anche nel resto del Mezzogiorno.
Le stime ufficiali parlano di circa 2700 vittime, ma il numero esatto non è mai stato accertato. Le scosse della sera del 23 novembre ‘80 hanno distrutto piazze, strade, case; hanno abbattuto campanili, chiese, ospedali; hanno sterminato intere famiglie, segnando per sempre la storia di quei luoghi e dei sopravvissuti. In Puglia la violenza del sisma si è avvertita soprattutto nella provincia di Foggia, ma ripercussioni si sono avute anche in altre zone. Nelle pagine della cronaca di Bari il cronista L.M. firma un articolo dal titolo «Bari vecchia e le ferite del terremoto», accompagnata da una foto di Luca Turi che immortala uno stabile antico lesionato da profonde crepe. L’articolo racconta dell’ordinanza del sindaco che ha imposto agli abitanti di quel palazzo l’immediato risanamento delle lesioni provocate dalle scosse.
«Il Comune chiede con grande semplicità che chi abita in piazza Maurelli al civico 1 provveda al più presto a restaurare la sua abitazione. Il terremoto ha inferto un altro grave colpo alla città vecchia». Il pezzo illumina un fenomeno che da anni attanaglia il centro storico e che il sisma ha, forse, solo reso più evidente: lil degrado di Bari vecchia. «Apparentemente nulla è crollato ma le già fragili abitazioni hanno risentito della scossa. Si sono aperte nuove crepe, si sono allargate quelle esistenti. [...] Non è possibile rendersi conto di quante abitazioni della città vecchia hanno subìto danni dal terremoto. Chi può nascondere le lesioni lo fa per il timore diffuso che all’ordinanza per il restauro segua quella di sgombero. Come al solito si tratta di famiglie – come quelle di via Maurelli – con molti figli, oppure con vecchine che non sono riuscite ad avere una casa popolare».
Il cronista sottolinea che di sicuro queste famiglie non hanno i mezzi per pagare riparazioni di sorta e di certo non possono affrontare addirittura un restauro. «La città vecchia cade a pezzi. È inutile nasconderlo. Basta aggirarsi per le vie: case abbandonate, abitazioni pericolanti che possono uccidere chi ci vive. La regione ha i fondi per finanziare il recupero dei centri storici, ma in assenza di un piano di recupero generale i singoli interventi non sono possibili». Mentre oggi si discute della deriva eccessivamente turistica del borgo antico, quarantadue anni fa le preoccupazioni erano altre: «La città vecchia, ferita anche dal terremoto, rischia l’abbandono».