Nuova prospettiva
Investimenti e ricerca il decreto guarda oltre la logica dell’emergenza
La pandemia di Covid-19 ha determinato una crisi dell’offerta a causa della chiusura temporanea delle imprese e dei canali di approvvigionamento
Le misure previste nel decreto Sostegni bis abbandonano la logica emergenziale presente nei precedenti interventi e incentivano investimenti programmati e strategici. La pandemia di Covid-19 ha determinato una crisi dell’offerta a causa della chiusura temporanea delle imprese e dei canali di approvvigionamento, una crisi della domanda a causa della riduzione della domanda da parte dei consumatori, una crisi di liquidità per le imprese a causa del crollo degli incassi e un calo degli investimenti a causa della difficoltà di prevedere gli scenari futuri e della conseguente incertezza nelle decisioni di investimento.
I precedenti interventi, con i vari decreti legge cd. «cura Italia», «liquidità», «rilancio», «semplificazioni», «rilancio» erano prevalentemente destinati alle imprese che non erano in difficoltà al 31/12/2019 e che lo sono divenute per effetto della pandemia, sia con misure temporanee di carattere fiscale (sospensione dei pagamenti) sia con misure tendenti a prevenire nell’immediato il fallimento delle imprese per crisi (non preesistenti ma) determinate dalla emergenza economica scatenata dalla pandemia. Questa scelta di sostegno immediato non è abbandonata, beninteso, nell’ultimo decreto. Oltre a replicare gli interventi, mediante contributo a fondo perduto, già presenti nel primo decreto Sostegni, innovativo è il contributo a fondo perduto per coloro, sia imprese che professionisti che abbiano realizzato un fatturato inferiore ai dieci milioni di euro nel precedente periodo di imposta, per i quali i contributi arrivano fino al 90% della perdita subita nel 2020 rispetto all’esercizio precedente. Il contributo speciale è cioè correttamente commisurato non al calo di fatturato, ma alla perdita effettivamente maturata. Sempre tra le misure di aiuto si registrano gli interventi di carattere fiscale con la possibilità di trasformare in credito di imposta (e, quindi, di capitalizzare) sia le spese correnti, quali i canoni per gli immobili non abitativi e i fitti di azienda (per le imprese operanti nei servizi turistici, per i liberi professionisti al di sotto di un certo reddito e per gli enti del terzo settore a prescindere dal volume dei ricavi); sia, nel settore della moda, le rimanenze di magazzino eccedenti la media degli ultimi tre anni (nei limiti del 30%); in altre parole, le rimanenze di magazzino non vendute e, quindi illiquide, si trasformano in credito di imposta e cioè in «capitale liquido».
Ad avviso di chi scrive, però particolare interesse, in quanto indici di una scelta strategica, sono gli incentivi agli investimenti di tipo strutturale e tecnologico; significativa è l’estensione, per le imprese fino a 499 dipendenti, della garanzia pubblica prestata dal Fondo Centrale di Garanzia per finanziamenti non inferiori a sei anni e non superiori a quindici anni finalizzati per almeno il 60% a programmi di ricerca sviluppo ed innovazione e ad investimenti duraturi; la garanzia pubblica copre fino alla perdita del 90% del singolo finanziamento per gli investimenti di natura strutturale sia nella tipologia sia nella durata e, quindi, non può coprire il finanziamento delle spese correnti; l’intervento del Fondo è finanziato con un meccanismo di cartolarizzazione che copre il 25% dell’importo complessivo dei finanziamenti calcolato sulla base della probabilità di default dell’impresa richiedente, in base al modello di controllo interno della stessa; il che significa che per poter accedere alla garanzia che indubbiamente favorisce l’accesso al credito e, quindi rende l’impresa più bancabile, questa si deve dotare di un modello di prevenzione di rischi; il che non è fenomeno diffuso. Ugualmente importanti sono gli incentivi fiscali per le start up innovative, previsti sia sotto forma di detassazione delle plusvalenze realizzate nella cessione delle partecipazioni, sia sotto forma di crediti di imposta per gli investimenti; a condizione, però, che le start up impieghino oltre un terzo dei dipendenti ricorrendo a ricercatori e dottori di ricerca o oltre due terzi di laureati magistrali e che sostengono in spese di ricerca, sviluppo e investimenti almeno il 15% del maggior valore dei costi o dei ricavi; in questo modo, si perseguono due obiettivi, l’innovazione tecnologica e, indirettamente, l’incentivo alla formazione e all’occupazione di giovani ricercatori. Sulla stessa lunghezza d’onda si pone la previsione del credito di imposta fino al 15% per gli investimenti in strumenti tecnologici destinati a realizzare modalità del lavoro agile (cioè lo smart working). In sintesi, il pacchetto di interventi previsto dal Governo è in linea con gli obiettivi del Recovery Plan di premiare gli investimenti di tipo non episodico ma strutturale.
*Professore di Diritto Commerciale (Università di Bari)