Il presidente Napolitano a Cefalonia
ROMA - Per la prima volta nella storia della Repubblica un Capo di Stato italiano festeggia il 25 Aprile fuori dei confini nazionali. Giorgio Napolitano, tra due giorni, sarà a Cefalonia per ricordare l'eccidio della Divisione Acqui: migliaia di soldati italiani uccisi a sangue freddo per essersi rifiutati, dopo l'8 Settembre, di consegnare le armi alla Wehrmacht.
Una scelta che rompe una tradizione e sancisce il definitivo riconoscimento di una verità storiografica negata per anni, cioè che la Resistenza iniziò immediatamente dopo l'Armistizio e coinvolse anche settori del Paese finora considerati ai margini della lotta di Liberazione. A Cefalonia furono massacrati dei militari. La prima pagina di quella storia, pertanto, fu scritta dalle Forze Armate.
Quello che sembra un omaggio scontato, in realtà scontato non lo è stato per nulla. La tragedia di Cefalonia è stata rimossa per anni, per motivi difficili ora da capire. Una vera e propria «congiura del silenzio», come disse Sandro Pertini nel novembre del 1980. Fu il primo esponente delle istituzioni italiane a mettere piede sull'isola greca. Lo fece, significativamente, come ultima tappa di una visita di Stato nella Grecia liberatasi da poco dal regime dei Colonnelli. Con lui, a Cefalonia, volle anche recarsi l'allora presidente greco Konstantin Karamanlis. Anche lui, come Pertini, un oppositore della dittatura di destra.
Pertini sollevò il velo, l'opera degli storici iniziò a fare il resto. L'attenzione dell'opinione pubblica però arrivò ancora più tardi, quando Carlo Azeglio Ciampi in una seconda visita all'isola avviò una riflessione su quello che significarono quei tragici giorni per il Paese.
La «scelta consapevole» degli uomini della Acqui, disse, «fu il primo atto della Resistenza, di un'Italia libera dal fascismo» e «le fondamenta su cui risorse l'Italia». Come per la Acqui, la Resistenza fu una lotta che condotta dal popolo italiano dopo «avere interrogato la propria coscienza e avendo per guida il senso dell'onore e dell'amor di Patria». Con queste parole Ciampi rese giustizia ai caduti di quel massacro ed al tempo stesso chiuse l'annosa polemica tra gli storici sull'8 Settembre come «morte della Patria». Al contrario: «la Patria quel giorno risorse» come avrebbe dimostrato nei successivi 20 mesi. Con i partigiani che sparavano sulle montagne, con i militari che combattevano a fianco degli Alleati, con i contadini che nascondevano paracadutisti dispersi e renitenti alla leva di Salò (lo stesso Ciampi era stato uno di questi). Con i civili che venivano massacrati a Marzabotto e Sant'Anna di Stazzema.
Napolitano chiude, con il viaggio di dopodomani, questo capitolo della ricerca della memoria nazionale.
Dice il programma che in realtà le cerimonie inizieranno già il 24, con un incontro al Quirinale con le associazioni dei partigiani e dei reduci. Il 25, all'Altare della Patria, consegnerà la medaglia d'oro al valor militare ad alcune città ed alcuni Comuni, come anche all'Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti e alla memoria del Signor Odoardo Focherini, di Mons. Giuseppe Maria Palatucci e di Don Emanuele Toso.
Quindi volerà a Cefalonia. Qui commemorerà le vittime italiane presso il Monumento in loro memoria, eretto dopo la visita di Pertini, renderà omaggio ai caduti greci del conflitto nella cittadina di Argostoli, avrà infine un colloquio con presidente greco Papoulias.
Negli ultimi mesi, una pronuncia della Procura federale di Monaco ha stabilito che quel massacro fu legittimo, perché gli uomini della Acqui «erano in effetti dei traditori». Successivamente, in seconda istanza, la stessa Procura ha parzialmente rettificato. Ma la ferita resta aperta. Se la storia è sempre contemporanea, i morti di Cefalonia pesano ancora sulla coscienza di molti.