La riflessione

Festa della Donna: «Lavoro? Non ci siamo»

Gianpaolo Balsamo

Divario retributivo di genere, («gender pay gap»), disparità di genere, lavoro domestico, welfare, investire sul lavoro femminile: sono termini e formule che abbiamo sentito ripetere spesso e che tornano attuali, ogni anno, in occasione dell’8 marzo

Divario retributivo di genere, («gender pay gap»), disparità di genere, lavoro domestico, welfare, investire sul lavoro femminile: sono termini e formule che abbiamo sentito ripetere spesso e che tornano attuali, ogni anno, in occasione dell’8 marzo. Chissà, forse perché il lavoro continua ad essere uno degli ambiti in cui i divari di genere sono più visibili. Molto spesso le donne incontrano maggiori difficoltà a trovare un impiego e a coprire ruoli di prestigio e responsabilità.

A fotografare lo scenario attuale ci ha pensato la «Fondazione Leone Moressa» che ha elaborato i dati di fonte Istat relativi ai primi nove mesi del 2022 e quelli provvisori di gennaio 2023. Tra le molteplici evidenze, si evince che negli ultimi anni le donne hanno fatto moltissimi progressi in tema di partecipazione al mercato del lavoro, ma la strada si mostra ancora lunga e la parità è lontana dall’essere raggiunta.

Il tasso di occupazione femminile medio, nei primi nove mesi del 2022, è stato del 50,8% (+3% rispetto allo stesso periodo del 2021) contro il 69% degli uomini ed è cresciuto del 51,9% a gennaio 2023.

Come riportato nell’ultimo Rapporto annuale dell’Istat, nel 2022 rispetto al 2004, il numero di donne occupate è aumentato di quasi un milione, a fronte di una riduzione di 154 mila uomini, e l’incidenza delle donne sugli occupati è salita dal 39,4 al 42,2%. Nonostante questi progressi, il divario con la media Ue (46,3%) rimane ampio.

Per quanto riguarda i divari territoriali tra le regioni del Nord e del Sud, secondo la «Fondazione Leone Moressa» tutte le regioni del Mezzogiorno hanno valori di occupazione inferiori alla media nazionale. I tassi di occupazione maggiore si riscontrano in Trentino Alto Adige (66,2), Valle d’Aosta (66%) ed in Emilia Romagna (62,6%).

In Puglia, invece, le donne occupate sono pari 35,4% (35 donne su 100 hanno un’occupazione) mentre in Basilicata la percentuale è leggermente superiore (39,9%).

Nei primi 9 mesi del 2023 (ultimi dati disponibili), la media delle occupate è stata pari a 9,9 milioni (contro i 13 milioni di maschi occupati), valore in crescita rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente del 2,4%. Quasi tutte le regioni hanno segnato una crescita positiva, in particolare la Sicilia (6,6%), l’Abruzzo (8,8%), la Puglia (5,9%) e la Basilicata (4,1%).

Inoltre, una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità: un aspetto che, si fa notare, «riveste una particolare rilevanza in quanto indice della difficoltà per le donne di conciliare esigenze di vita con l'attività lavorativa».

Le elaborazioni dei dati Istat curate dalla stessa «Fondazione Moressa» aiutano a far luce anche sulle professioni per così dire «preferite»: sono donne il 64,4% degli impiegati, il 58% degli addetti alla vendita e ai servizi alla persona, il 54,8% di coloro che svolgono professioni intellettuali, (per esempio le insegnanti).

L’aumento della partecipazione economica delle donne al lavoro non risolve un gender gap evidente, in quanto le donne occupate sono di meno, trovano meno lavoro e tendenzialmente sono meno spinte a far parte della forza lavoro, oppure, scoraggiate dalla difficoltà a trovare un impiego, rinunciano a cercarlo più̀ facilmente rispetto agli uomini. Questa considerazione non vale però per tutte: dal punto di vista del livello di istruzione, sono principalmente le non laureate a scontare una minor presenza nel settore rispetto ai colleghi. Al contrario, le donne laureate con un’occupazione sono più̀ degli uomini.

Le discrepanze si fanno decisamente sentire anche quando si tratta di salario. Secondo gli ultimi dati Eurostat, il gap retributivo medio (la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è pari al 5% (al di sotto della media europea che è del 13%), mentre quello complessivo (la differenza tra il salario annuale medio) è pari al 43% (al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2%). Nel 2022 la retribuzione media annua è risultata «costantemente più alta» per gli uomini, evidenzia lo studio citando i dati dell'Inps: 26.227 euro per gli uomini contro i 18.305 euro per le donne, con una differenza di 7.922 euro.

Frenano anche le imprese guidate da donne. Nel 2023 sono diminuite di 11mila unità e rappresentano il 22,2% del totale del tessuto produttivo nazionale a quota 1 milione e 325mila. Questi i dati dell’Osservatorio per l’imprenditorialità femminile di Unioncamere. Nel 2023, in prticolare, si è registrato un «calo consistente» soprattutto nel settore agricolo (-6mila imprese), nella manifattura (-2mila) e nel commercio (-8.700). Sono invece oltre 2mila in più le imprese femminili che si occupano di Attività professionali, scientifiche e tecniche, settore a prevalente partecipazione maschile, in cui le donne però stanno progressivamente ampliando il proprio impegno.

La fotografia scattata da Unioncamere mostra che l’universo femminile dell’impresa ha caratteristiche specifiche. Intanto è un pò più giovane rispetto alle altre imprese: il 10,6% delle aziende femminili è guidato da imprenditrici under 35 (contro il 7,9% delle attività non femminili).

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