Le cifre

Pnrr, dal Conte II ai governi Draghi e Meloni: cosa sapere sulla più grande operazione di rilancio

nicola pepe

Progetti, rate, primi risultati e riprogrammazione delle opere. Così Bruxelles decide i pagamenti

Se provate a digitare PNRR nel motore di ricerca di Google verrà fuori un dato: 33milioni e mezzo di risultati. Il più grande Piano di rilancio della storia d'Italia, approvato dall'Europa per risollevare le sorti dell'economia post Covid, domina ormai tg, giornali, dibattiti, blog, diventando un protagonista della vita di tutti i giorni. Tuttavia, i tecnicismi da un lato, e i tatticismi (politici) dall'altro, rischiano di rendere talvolta l'argomento poco comprensibile disorientando non solo la gente comune ma in certi casi anche gli stessi addetti ai lavori.

IL MASSIMO DEI PRESTITI

Cominciamo col dire che il PNRR italiano è quello che, tra i 27 paesi europei, presenta il maggiore valore perchè ammonta a 191,5 miliardi di euro. E' bene precisare che tali finanziamenti non sono soldi piovuti dal cielo: poco meno di 69 miliardi rappresentano le cosiddette «sovvenzioni» (finanziamenti a fondo perduto) mentre la parte più cospicua, 122,6 miliardi di euro, sono costituti da prestiti, cioè debito. A queste somme, destinate a interventi e opere da realizzare entro il 30 giugno 2026, vanno sommate oltre 30 miliardi del Piano nazionale complementare, pari a 30,6 miliardi, cifra che fa lievitare il tesoretto a 222 miliardi (circa 87 miliardi destinati al Mezzogiorno). L'Italia è uno dei tre stati (con Grecia e Romania) tra i 27 dell'UE ad aver chiesto il massimo delle somme erogabili a titolo di prestito (per altri c’è tempo sino a fine agosto). Tale «assegnazione» (sia per i prestiti sia per il fondo perduto) è frutto di una operazione aritmetica che tiene conto della popolazione, dell'indice della disoccupazione e dell'andamento del Pil: da tale operazione viene fuori sia l'importo della sovvenzione sia quello dei prestiti massimi concedibili, cifra quest'ultima condizionata dalla richiesta del singolo Stato membro.

IL PIANO ITALIANO

Il PNRR italiano è stato predisposto dal Governo Conte II che lo ha approvato con due risoluzioni di Camera e Senato il 31 marzo e 1 aprile 2021; a seguito della crisi è subentrato il Governo Draghi che, il 30 aprile dello stesso anno, dopo due risoluzioni di entrambe le Camere, ha trasmesso il Piano rivisto alla Commissione Ue ottenendo il sigillo del consiglio europeo il 13 luglio 2021.

Come funziona il meccanismo del PNRR? Rispetto ai normali finanziamenti, erogati a opere realizzate, l'erogazione dei fondi del Piano prevede pagamenti (rateali) in funzione del raggiungimento di obiettivi, e cioè «milestone» & «target». Se nel primo caso può rientrare una conclusione dei lavori, nel secondo si tratta di un indicatore misurabile in termini di risultato dell'intervento pubblico o dell'impatto sulle politiche pubbliche (ad esempio chilometri di ferrovia costruiti o riduzione dell'incidenza del lavoro sommerso, ecc.) Insomma, quando si presenta il conto all'UE, viene eseguito un controllo accurato sul raggiungimento dei due indicatori che, dunque, non sono alternativi ma devono coesistere. L'Italia, in quelo che possiamo definire il suo «Piano delle performance», ha un totale di 527 obiettivi da raggiungere.

CORSA ALLE RATE

Sinora sono stati incassati 66,9 miliardi tra quota di prefinanziamento e prime dure rate (151 obiettivi). A questi vanno aggiunti i 19 miliardi della terza rata - sbloccata dall’UE grazie alla mediazione del ministro Raffaele Fitto - dopo il raggiungimento dei 54 obiettivi sui 55 inizialmente previsti (mezzo miliardo dell'housing universitario - 7.500 posti - è stato unito al piano complessivo dei 60mila alloggi per studenti). Tale assegno dell'UE (fondo perduto e debito ricordiamo) riguarda i risultati raggiunti fino al 31 dicembre 2022. Il regolamento europeo lascia pochi spazi di manovra: man mano che il tempo passa, i controlli si fanno più serrati per l'erogazione delle successive tranche di finanziamenti. Il Governo Meloni si è insediato a metà ottobre 2022, affidando al ministro Fitto la governance di PNRR e Coesione e la interlocuzione con la commissione. Italia, Spagna e Grecia sono gli unici ad aver presentato la richiesta di pagamento della terza rata, altri 4 stati ne hanno richieste due, 11 sono fermi alla prima, mentre nove (tra cui la Germania) non hanno chiesto nulla. Insomma, non tutti fanno a gara per incassare i soldi il giorno dopo la scadenza della richiesta.

150mila PROGETTI

Una fetta cospicua dei progetti italiani (oltre l'80%), secondo uno studio Bocconi, è costituito da opere inferiori al milione di euro: un dato che la dice lunga sulla complessità delle procedure amministrative che interessano oltre 150mila interventi con tutto ciò che ne deriva in termini di intoppi o rallentamenti. Il Piano italiano prevede i cosiddetti «progetti in essere» e i «progetti nuovi». Nella prima categoria rientrano quelli che esistevano alla vigilia dell'approvazione del Piano ed erano già finanziati. Quelli nuovi, invece, fanno parte delle opportunità del PNRR. La differenza tra le due categorie di progetti sta nell'impatto sui conti pubblici: i progetti in essere, in quanto già finanziati, sono considerati neutri perchè la sostituzione delle somme con quelle a fondo perduto del PNRR è considerata una entrata. Diverso il caso dei progetti nuovi: se la realizzazione è prevista con i prestiti, questi aggravano l'impatto sulla contabilità pubblica. Il Piano italiano (articolato in 6 missioni e 16 componenti) prevede una spesa di 51,3 miliardi per i «progetti in essere» e ben 124,5 per quelli «nuovi»; di mezzo ci sono anche quelli finanziati con il Fondo di coesione pari a 15,6 miliardi.

RIVEDERE IL PIANO

La frammentazione degli investimenti è una delle criticità che hanno allungato i tempi delle verifiche per le scadenze appena trascorse, ma pongono un problema per il futuro. Perchè se l'interlocuzione con Bruxelles e la messa in ordine degli obiettivi (soprattutto con i ritardi derivanti anche dal mancato completamento die dati caricati sul sistema di rilevamento «Regis», ha salvato la terza rata, il problema inizia a porsi per le prossime. La quarta tranche di 16 miliardi dovrebbe essere garantita, ma è necessario definire le nuove regole del gioco, quindi fare una operazione verità per evitare stop da Bruxelles. Come detto, si tratta di un Piano sdoganato due anni fa, ma che l'anno scorso ha fatto i conti con la guerra in Ucraina e la crisi energetica: situazioni che hanno inciso pesantemente sulle scelte delle imprese costrette a disertare persino le gare giudicandole non convenienti visto l'aumento dei prezzi. Scelte che - sia pure allentate con l''intervento del Governo con il decreto aiuti un anno fa – hanno creato ritardi vista la mole di investimenti interessati (il settore delle costruzioni è quello più coinvolto).

OPERE IMPOSSIBILI

Criticità che si sommano al reperimento di manodopera e figure professionali oltre all'irrigidmento delle regole UE per assoggettare le opere al Piano. Tra queste, ad esempio, la compatibilità degli interventi al principio del «DNSH» - do not signifcant harm - cioè non arrecare nessun danno ambientale che va verificata per ogni opera. A ciò si aggiungono le difficoltà di tipo regolamentare e normativo che, nonostante gli interventi legislativi (da ultimo il dl 13/2023) rendono ancora accidentato una parte del percorso, costellato da intoppi vista la frammentazione del Piano. Determinante, in tal senso, si rivelerà la scelta del Governo nel presentare le nuove priorità: le opere «impossibili» perchè non realizzabili nelle scadenze, saranno riprogrammate nel circuito dei finanziamenti correnti e con orizzonti temporali più spostati in avanti. E si focalizzerà l'attenzione su quelle di più facile completamento perchè, diversamente, si porrebbe un problema per le rate successive. Tale affinamento consentirà di avere le idee chiare sul «Repower EU», sul quale potrebbero essere dirottati parte delle «economie» del Piano o che potrebbe essere alimentato con nuovi prestiti, comunque già richiesti dall’Italia.

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