la transizione ecologica
Decarbonizzazione: «Auto e navi, la svolta è il metanolo verde»
Massari: si ricava dai rifiuti e non richiede di stravolgere il mezzo
«Decarbonizzare sembra facile ma è la cosa più difficile del mondo perché si tratta di cambiare l’economia e la società». Ma una soluzione c’è e anzi ce ne sono due, complementari e per nulla in conflitto fra loro: «Il metanolo e l’idrogeno».
Ecco l’alfa e l’omega della lunga analisi che Saverio Massari - ingegnere, tra i fondatori di Tecnopolis e consulente di numerose aziende della filiera delle rinnovabili e dell’idrogeno - offre alla «Gazzetta» ragionando sulla sfida dell’energia.
Massari, da dove cominciamo?
«Direi dall’idrogeno sul quale si pone una grande enfasi».
È mal riposta?
«Nel lungo periodo direi certamente di no. Il problema, però, è che si tratta di una strada poco agevole che contiene anche qualche rischio e potrebbe scoraggiare famiglie e imprese».
Facciamo un esempio pratico?
«Le auto. Per far funzionare un’auto a idrogeno serve una fuel cell, una cella combustibile, che trasformi l’idrogeno in elettricità. Quella delle astronavi per intenderci».
E qual è il problema?
«Il problema è che si tratta di un intervento notevole sulla vettura e ci vuole un comparto industriale che produca milione di celle. Si farà, ma non ora. L’idrogeno poi è comunque un gas, difficile da gestire, da conservare e da trasportare. Ci sono dei rischi e se parliamo dei motori delle navi, ad esempio, ecco che la difficoltà si moltiplica esponenzialmente».
Quindi? Rinunciamo?
«No, ma nel frattempo esiste una alternativa molto pratica: il metanolo verde».
Che vantaggio ha rispetto all’idrogeno?
«Il metanolo non è un gas, è liquido. E non ci sono problemi di trasporto e conservazione. Può viaggiare come la benzina ed essere erogato da una pompa. E soprattutto non serve la cell fuel. Le modifiche da apportare ai motori delle macchine sono assenti o davvero minime».
Le normative Ue sul rinnovo del parco auto sono una mano santa per una grande impresa ferma al palo. Se lei rimette in gioco le vecchie macchine salta il «giochino»...
«Non la vedo così. Anzi, i piccoli adattamenti necessari possono permettere a tutto il comparto che lavora sulle auto classiche di sopravvivere mentre, dall’altra parte, si continua a insistere sull’innovazione».
Come si produce il metanolo?
«Ci sono varie soluzioni. La prima sono le biomasse: prendi i rifiuti vegetali, li bruci e ottieni una quantità di metanolo da utilizzare per macchine e bus. E, oltretutto, è un sistema ciclico perché le biomasse rispuntano poi poco dopo. Ma si può fare lo stesso con i rifiuti solidi urbani e addirittura con le plastiche».
C’è aria di inceneritori...
«Da questo punto di vista è importante fare una seria informazione. Se parliamo di plastiche sono d’accordo, esiste il rischio di avere poi un’area inquinata da polimeri non completamente disgregati. Ma non vale per i rifiuti urbani e comunque anche sulle plastiche, ad esempio, Eni ha sviluppato una tecnologia per riciclare correttamente la plastica dura».
A parte bruciare rifiuti come altro si può ottenere?
«Si può ottenere dall’idrogeno verde, sommando ad esso l’anidride carbonica catturata dalle emissioni dell’industria manifatturiere».
Esistono vari tipi di idrogeno?
«C’è quello verde, pulito, che si produce dall’elettrolisi, cioè da una trasformazione ottenuta con acqua e vento. E poi quello blu, estratto dal metano. Quest’ultimo è quello che si tende a usare con più frequenza propria per le ragioni che indicavo sopra»
È un problema di tecnologia?
«No, le tecnologie ci sono. E le hydrogen valley, come quella di Brindisi, devono andare avanti. Il problema è la domanda industriale. Si fa il prodotto ma manca chi lo richiede: a che serve l’idrogeno verde se poi le macchine non sono adattate o se i forni di cui dispongono le aziende non vanno bene a riceverlo?».
E quindi avanti con il metanolo verde...
«Esatto. Lo ripeterò fino alla nausea: il suo punto di forza è nella praticità e nella possibilità di usarlo immediatamente senza aspettare rivoluzioni ventennali».
Ma scusi se va così bene perché non buttiamo a mare l’idrogeno e ci concentriamo solo sul metanolo?
«In alcuni settori sarà così. Penso alle navi. Già oggi navi da crociera e navi container adottano questo di tipo di carburante magari in coabitazione con il classico. Se usassimo l’idrogeno ce ne vorrebbe una quantità tale da porre i soliti problemi di trasporto e dunque di sicurezza».
E per il resto? Il punto è che il metanolo inquina un po’ di più dell’idrogeno verde. Se si realizza unendo a quest’ultimo l’anidride carbonica...
«Il metanolo ha appunto un atomo in più di carbonio. Quindi sì c’è un contributo minimo di immissioni nocive. Ma davvero minimo, quasi zero. È chiaro che l’idrogeno resta il futuro ma ci vuole tempo. Nel mentre c’è il metanolo che può essere la soluzione per i problemi di mobilità marina e urbana a cominciare dal rinnovo delle flotte del bus comunali».
Alla fine, qual è la morale?
«La morale è che la decarbonizzazione è una sfida straordinariamente impegnativa. Puglia e Italia possono vincere la battaglia purché la rotta sia chiara. Mentre noi accumuliamo ritardi sul Pnrr, l’Ue ha posto dei limiti temporali strettissimi a cominciare dallo stop alla vendita delle auto inquinanti nel 2035. Non è domani, è già ieri. Non possiamo più perdere tempo».