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Il «Tabacco clan» raccontato da Lupo

 
Raffaele Nigro

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Raffaele Nigro

Il «Tabacco clan» raccontato da Lupo

Alla boa dei cinquant’anni la mente comincia a fare i conti con il passato, con le vittorie e le sconfitte individuali e collettive

Mercoledì 26 Ottobre 2022, 08:27

Un romanzo scritto veramente bene, con una maturità narrativastraordinaria, affollato di continue riflessioni sulla vita che scorre, sull’amicizia e sulla condizione sociale e culturale del nostro tempo, è Tabacco clan, di Giuseppe Lupo, edito da Marsilio.

Alla boa dei cinquant’anni la mente comincia a fare i conti con il passato, con le vittorie e le sconfitte individuali e collettive. Parte da qui, da un andirivieni tra amarcord e fuga nel presente, una vicenda che si accende man mano che arrivano gli ospiti di un albergo nell’alta Lombardia, la regione del benessere industriale, al cui centro c’è una città, Milano, che fa da traino alle sorti economiche dell’Italia.

I vecchi compagni di un pensionato milanese legato all’Università Cattolica, qui presentati nei nomignoli di gioventù, si rincontrano all’Hotel Verbano del lago Maggiore per festeggiare il matrimonio tra due giovani, figli entrambi di due di loro, il Cardinale, siciliano di Ragusa e Piercamuno, bresciano della Val Camonica. Il romanzo si presenta dunque come un’opera larvatamente manzoniana, dove però il matrimonio non è tra lombardi, bensì tra terroni e polentoni e purtroppo sarà un’unione senza ratifiche istituzionali, perché non è più tempo di matrimoni.

Ma è da tanto che tutti si preparano all’incontro, perché potranno finalmente rivedersi, ripercorrere la giovinezza e dirsi il presente individuale. Diciassette compagni che hanno dato per nome al sodalizio, Clan del Tabacco o anche Tabacco Clan. Il Clan è un tabacco speciale, nato dall’aggregato di varie colture, proprio come questo aggregato di uomini provenienti da varie parti d’Italia, il profondo sud e il profondo nord, professionisti agguerriti ma separati dal lavoro, chi viene dalla Svizzera, chi dal resto d’Italia e chi addirittura dalla Cina. Il clan è dunque l’Italia intera, con i problemi che ogni area si porta dietro e tutti riuniti da un “Matrimonio patriottico” che vede “Terroni e polentoni un’unica famiglia” ovvero insieme per “l’unificazione italiana”. Appare così anche l’immagine di un’Italia scivolata dalla condizione contadina a una industriale e postindustriale, quell’Italia del miracolo economico a cui Lupo si mostra sempre legato, nata dalle vicissitudine narrate ne Gli anni del nostro incanto, un paese di imprese e di società industriali e che è coincisa con la sua giovinezza e con le passioni del suo lavoro di intellettuale e di giornalista che gira l’Italia perlustrando fabbriche per “Il sole 24ore”, sulla scorta di Leonardo Sinisgalli e visitando imprenditori animati da una forma di umanesimo, come Adriano Olivetti, Lucio Marcotulli, Pasquale Vena, Gianfranco Dioguardi. Uomini che hanno pensato certamente al profitto, ma per i quali il benessere deve toccare tutti, padroni e operai. Super partes è invece la comune riflessione, palesata dall’io narrante, il Chimico, che;” basta un particolare per tornare al tempo senza fine che è la giovinezza, quando la giovinezza si conserva nell’attimo di luce in cui i nostri genitori hanno creduto nell’eternità e ci hanno fatto nascere”.

Ecco, il romanzo di Lupo si presenta come l’epica di una giovinezza e di una maturità che descrivono un secondo Novecento animato dalla voglia di produrre. L’apoteosi per una Milano vista come città delle mille possibilità di fortuna, la città proiettata verso il futuro e che fa da guida all’intera nazione.

Ma il romanzo è soprattutto un momento di festeggiamento.

Comincia allora la serie dei ricordi, fatta di passioni calcistiche, di studi noiosi e della necessità di presentarsi confessionali di fronte alle autorità accademiche dell’ Università Cattolica. Tutto contrapposto alle pulsioni della prima giovinezza, alla scoperta del sesso e all’ossessione di un erotismo non consumato e alla meraviglia di fronte alla bellezza scollacciata nei manifesti della lingerie Roberta. Una giovane dalle rotondità accentuate che sbatteva sotto gli occhi dei giovani le sue procacità. In un andirivieni costante tra ieri e oggi, tra una giovinezza piena di aspettative e ricca di sorprese e una maturità che conclude ormai tutti i cicli della vita e mostra i punti di arrivo dei singoli invitati al matrimonio, e dell’Italia intera, le gioie individuali e collettive ma anche le sconfitte personali. Sembra di ritrovarsi in un film di Gabriele Muccino o di Pupi Avati, o nella ricostruzione di psicologie proposta da La carovana Zanardelli. Qui è l’appassionante amarcord di uomini ai quali il romanzo è dedicato, ognuno chiamato in causa dalla memoria dell’autore e che appare sulla scena dell’Hotel con le fortune e le sconfitte decretate dalla professione e dall’esistenza. Un amarcord individuale e collettivo attraverso il quale emerge la storia di un paese che si è avventurato nelle maglie di una cultura borghese. Sono tramontati così i sogni giovanili, il marxismo di taluni, le attese di altri, man mano che il realismo della vita collocava ogni individuo in una casella sociale e lavorativa.

La cesura tra vecchio e nuovo mondo scatta quasi in chiusura di romanzo.

Per tutto il racconto i convitati hanno atteso gli sposi, ma i due tardano ad arrivare. Ad un certo punto sembra addirittura che non verranno più.

Invece eccoli, accompagnati da uno stuolo di amici caciarosi, festosi e dalle regole dei nuovi tempi. Per loro non conta regolarizzare l’unione di fronte allo Stato o alla Chiesa, sono felici così, compagni nella vita. Ma allora la festa? La festa l’hanno pensata, sì, ma non per se stessi. La festa era per i genitori e i loro amici, che festeggiassero insieme il sentimento che li ha uniti dalla giovinezza. Renzo e Lucia, i nuovi sposi, hanno altro a cui pensare.

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