L'intervista
Caracciolo: «L’Ucraina vince solo sui media Putin vuole riconquistare Kiev»
Il politologo di Limes: «Zelensky resiste con costi altissimi per il suo popolo»
Lucio Caracciolo, direttore di «Limes» e docente di Studi strategici alla Luiss (domani a Bari per il festival «Mare d’inchiosto»), dal 24 febbraio assistiamo alla prima guerra in diretta social. Il profilo comunicativo immediato quanto influisce sulle opinioni pubbliche occidentali, compresa sulla italiana?
«Una delle componenti decisive in questo frangente è quella della guerra di propaganda. Sotto questo profilo gli ucraini stanno vincendo contro i russi dieci a zero. I russi non sono portati per la propaganda, ma si dedicano a compattare la propria opinione pubblica interna. Quando vanno all’estero fanno autogol. Gli ucraini sono più abili e hanno l’appoggio - sotto ogni profilo - dal mondo web anglosassone e europeo, che è quello tuttora dominante su scala mondiale».
Il profilo militare. Lo strapotere russo finora si è declinato in una manovra di accerchiamento, lenta e soff. Cosa però non torna nei piani dei generali di Mosca?
«Non possono aver previsto una operazione che li lascia così impantanati. Credo che la loro idea iniziale fosse di arrivare in tre giorni a Kiev, con un tributo di ovazioni popolari, mettendo a capo dell'Ucraina un loro uomo, garantendo la sicurezza e occupando i punti nevralgici, senza accordarsi i costi di gestione dell’intero paese».
Il quadro però si complicato con il passare dei giorni…
«Il numero dei militari russi schierati è troppo piccolo rispetto al territorio da occupare. Per presidiare l’Ucraina conquistata ci vorrebbero un milione di soldati. Per questo si può pensare a uno sbaglio di fondo, a una sottovalutazione del nemico e a una considerazione errata della sua capacità di resistere per un periodo non breve. Non voglio dire però che i russi non vincano la campagna sul terreno, ovvero quella che si gioca sulla capacità di interdire agli ucraini il controllo del territorio: hanno i numeri per vincere senza però che possano installare un loro sistema di presidio».
Una ulteriore escalation è possibile?
«Bisognerebbe fermare l’avanzata prima che il conflitto diventi urbano: si risparmierebbero tante vite umane. Se si va nelle città, c’è spazio per la guerriglia, e si diventa un bersaglio facile per eventuali franchi tiratori».
La resistenza di Zelensky: sta vincendo la guerra mediatica. Di Maio lo definisce un eroe Ma con quali costi umani dei suoi connazionali?
«Con un prezzo altissimo per i suoi connazionali. Non possiamo dalla comoda Italia dare consigli agli ucraini su cosa fare. Zelensky persegue la strategia di resistere abbastanza per costringere i russi a un compromesso al ribasso».
Gli ucraini possono vincere la guerra?
«No, ma lottano al fine di limitare i danni. Ogni giorno che passa del resto ci sono meno ucraini in Ucraina, e più soldati russi. E una progressiva distruzione del paese sarà di difficile gestione per chi verrà»
Via d’uscita?
«Inevitabilmente, per ragioni geopolitiche ed economiche, è auspicabile un compromesso, un cessate il fuoco che dia margine a una trattativa definitiva. Ci vorrà ancora qualche giorno, ma con il passare delle ore la guerra si potrebbe estendere a Kiev, con la Russia che marcia contro la sua capitale storica difesa dagli ucraini».
Un passo indietro. Tra gennaio e febbraio c’è stata una forte azione diplomatica. Poi tutto si è inceppato per l’invasione decretata da Putin. Quale lo snodo decisivo nel dare il via a quella che definisce “operazione speciale"?
«Nemmeno gli storici sapranno ricostruire quelle giornate con precisione. Il potere russo è incentrato sulla figura del presidente: negli ultimi anni, in tempi di pandemia, Putin si auto-isolato, ha ascoltato meno persone e ha deciso con uomini dell’intelligence e generali, con un’ottica limitata. Al fondo c’è il desiderio di Putin di passare alla storia come lo zar che ha riconquistato Kiev dopo averla persa nel 2014, spiazzato dalla rivoluzione di quegli anni. Voleva partecipare alla costruzione di una nuova architettura di sicurezza con l’Europa ma l’orizzonte era superiore alle sue possibilità e alle intenzioni americane. Da qui ha preso una decisione avventurosa, che costerà alla Russia moltissimo».
Che margini operativi hanno ora Ue, Cina e Nato?
«L’Ue non è un soggetto geopolitico, ci sono francesi e tedeschi che stanno cercando di dialogare per avere un negoziato con Putin, ma il leader di San Pietroburgo vuole parlare con gli ucraini e con gli americani».
L’Alleanza atlantica?
«Sul fronte Nato, l’America non vuole entrare in guerra perché ha una forte crisi interna di identità e del suo sistema politico istituzionale. Tutto può fare Washington tranne lanciarsi nella terza guerra mondiale».
Resta Pechino.
«La Cina è stata colta di sorpresa dall’iniziativa militare russa ma non può lasciare a se stessa la Russia: darà un appoggio, ma diffidente, anche perché chi ora guida Mosca cerca una sponda nella Repubblica popolare e non nell’America».
I tavoli diplomatici?
«La mediazione decisiva sarà fatta direttamente quando gli Usa spiegheranno a Zelensky di cedere in parte e Putin capirà di non potersi spingere oltre, accollandosi un paese distrutto e avverso».
Quale il perimetro di un eventuale accordo?
«Se si arriverà a un compromesso, potrebbe portare alla annessione russa della Crimea, all’indipendenza del Donbass e alla neutralità dell’Ucraina, con le attuali conquiste territoriali di Putin revocabili».
La guerra in Ucraina fa saltare la globalizzazione economica e politica come l’avevano conosciuto finora o quell’orizzonte resta irreversibile?
«Usare il verbo “saltare” è forse troppo, ma sono minati alcuni aspetti fondamentali. Molti paesi guardano a forme di autarchia, accentuando produzioni interne e riducendo gli scambi commerciali, con prezzi impazziti per grano e cereali. Ciascuno cerca di accorciare le filiere e riportare a casa le produzione, ma c’è un fattore rilevante da ponderare».
Quale?
«Senza energia non si produce. E quello del gas è un altro grande problema».