BARI - In Italia gli studenti con Dsa, con disturbi specifici dell’apprendimento, negli ultimi dieci anni sono quintuplicati. Significa che le famiglie non si vergognano più di chiedere aiuto e che le diagnosi sono abbastanza tempestive, ma anche che la pandemia, che ha costretto gli alunni ad abbandonare le aule e a seguire le lezioni da casa, ha compromesso la formazione. In Puglia, però, i numeri sono inferiori: chi inciampa nelle attività della lettura, della scrittura e del calcolo matematico rappresenta il 2,79% della popolazione scolastica rispetto al 5% della media nazionale. Nella nostra regione per ottenere le certificazioni ci vogliono anni.
A livello nazionale si elaborano le nuove linee guida, quelle regole di intervento che vanno aggiornate alla luce dei diversi fattori responsabili di aver contribuito all'incremento dei casi di Dsa fra bambini e ragazzi: la condizione di bilinguismo dei nuclei familiari (secondo il Miur il 10% della popolazione scolastica è di origine migratoria, con una lingua d'origine che non è l'italiano) e l'impatto del Covid, che ha imposto la didattica a distanza. In Puglia gli alunni con Dsa sono 10.918: alla primaria rappresentano l’1,43% del totale, alle medie inferiori il 3,1% e alle superiori il 2,29%.
«Come sempre i numeri vanno presi con le pinze - chiarisce Maria Chiara Caiulo, referente per la Puglia della Federazione nazionale logopedisti - e bisogna stare attenti all’aumento esponenziale dei casi. È vero che è mutata, in positivo, la sensibilità nei confronti del problema. Però capita anche che le scuole e le famiglie ricerchino la certificazione Dsa per i ragazzi agli albori dei primi disagi». Sta di fatto che il numero dei professionisti non soddisfa la domanda. Per questo la Federazione continua a pressare la Regione affinché vengano allargate le maglie di accesso al percorso universitario. Caiulo precisa: «Ogni anno c’è posto per 40 matricole in tutta la Puglia. Però se le liste d’attesa non esistono soltanto nel pubblico ma anche nel privato, significa che i logopedisti sono pochi. Il corso universitario, a numero chiuso, dovrebbe accettare 60 iscrizioni». Per una diagnosi firmata da un privato si spendono in media 200 euro, la singola seduta, invece, costa su per giù 35 euro, ma il ciclo va avanti per anni. Caiulo conclude: «Occorre rafforzare il concetto che la logopedia va applicata in tutte le fasi della vita, dall’infanzia all’età geriatrica. C’è carenza di tali figure persino negli ospedali. Eppure siamo indispensabili per il recupero funzionale nei reparti di otorinolaringoiatria, neurologia, psichiatria».
Il buco nero inghiotte la fascia dei maggiorenni. La conferma arriva da Anna Perrone, coordinatrice regionale dell’Aid, l’Associazione italiana dislessia che tiene insieme le famiglie e gli operatori sanitari: «Fino ai 18 anni i ragazzi sono a carico della neuropsichiatria infantile. I maggiorenni a carico dei centri di salute mentale, il più delle volte sguarniti di logopedisti. Per avere diritto alle misure dispensative (un numero inferiore di quesiti ai test) e agli strumenti compensativi (per esempio il 30% in più del tempo concesso per superare le prove di selezione) applicate per l’accesso agli studi universitari o ai concorsi pubblici, l’unica certificazione valida è quella rilasciata dal sistema sanitario nazionale».
Il garante dei minori in Puglia, Ludovico Abbaticchio, commenta: «Colpisce che le regioni in difficoltà sulle certificazioni dei Dsa siano le stesse in cui si registrano divari di competenze negli alunni secondo quanto restituito dai risultati delle prove Invalsi. Anche se non esiste una correlazione di causa-effetto tra le due evidenze, il disagio che emerge in queste regioni restituisce il quadro di un sistema scolastico che manifesta problemi di equità su cui intervenire per superare divari educativi e garantire a tutti gli studenti le stesse opportunità. Se consideriamo la media italiana di alunni con Dsa, si suppone che almeno due terzi di allievi con problematiche di apprendimento non vengano riconosciuti dal sistema scolastico meridionale, con tutto ciò che ne consegue in termini di diritto a ricevere un’istruzione equa, utile a raggiungere il massimo delle potenzialità individuali. Le basse percentuali del Sud rispetto alle regioni del Nord possono generare falsi entusiasmi».
LUDOPATIA IN PUGLIA: GLI EFFETTI DELLA PANDEMIA
BARI - Si gioca perché la vincita appare «a portata di mano», si gioca per compensare «un disagio esistenziale», si gioca per «curare» le sollecitazioni ansiogene del mondo del lavoro e si gioca per colmare quel senso di «noia incombente». Ma sarà davvero proprio così?
Certo è, queste risultano essere le giustificazioni più in «voga» addotte da chi, volendo venir fuori dal tunnel infernale del gioco d'azzardo patologico, chiede aiuto agli esperti in dipendente patologiche.
In Puglia il fenomeno è in costante crescita così come sono sempre di più coloro che bussano alle porte dei Serd (Servizi per le dipendenze) dislocati nelle diverse Asl pugliesi per fornire interventi di prevenzione, diagnosi, cura e reinserimento di persone con disturbi legati alla dipendenza patologica (farmaco-tossicodipendenze, alcol dipendenze e gioco d’azzardo patologico) e ai loro familiari.
A livello nazionale il giro di affari da gioco legale (quello disciplinato dai Monopoli di Stato) è pari a 88,38 miliardi di euro annui con un guadagno per lo Stato di 7,24 miliardi di euro. Le entrate provengono dal «gioco a distanza» per il 55,70% e dal «gioco fisico» per il 44,30%. .
Per la Puglia il fenomeno corrisponde a quasi 900 cittadini seguiti annualmente dai Servizi per le dipendenze patologiche dal 2016 al 2019, con un crollo degli utenti a meno di 700 annui per gli anni 2020/2021: la riduzione della frequenza da gioco già raccontata dai numeri dei Monopoli di Stato e la limitazione di accesso fisico alle strutture sanitarie durante i mesi più duri dell’emergenza Covid possono spiegare parte del calo ma non rassicurano affatto sulla flessione epidemiologica del fenomeno che rimane una criticità sociale oltre che assistenziale.
E il fatto che fino a tutto il 2021 il numero degli utenti già seguiti dai servizi si sia mantenuto costante a circa 500 soggetti mentre si è dimezzato a circa 200 il numero dei nuovi utenti annui per il 2020/2021 confermerebbe il sospetto che la pandemia abbia nascosto in parte i bisogni emergenti per le «altre malattie» (le nuove diagnosi) come ha già fatto per patologiche croniche e oncologiche.
«È diminuito notevolmente il gioco d’azzardo, sia terrestre che online, durante il lockdown grazie alle restrizioni per la pandemia ma si è assistito a un picco appena dopo l’allentamento delle norme, soprattutto del gioco online - commenta Margherita Taddeo, referente scientifica della Regione Puglia per il disturbo da gioco d’azzardo e componente dell’Osservatorio nazionale per il contrasto presso il ministero della Salute -. È inoltre aumentato di quasi un’ora il tempo trascorso a giocare e una piccola percentuale ha addirittura iniziato a giocare d’azzardo proprio durante il lockdown».
«Con l’allentamento delle restrizioni - continua la Taddeo - si è assistito ad un nuovo incremento della popolazione che pratica gioco d’azzardo, fino a superare, nel caso dei giocatori d’azzardo online, la percentuale precedente la pandemia. La forte relazione trovata tra situazioni di disagio emotivo e comportamenti di dipendenza richiede politiche urgenti per impedire che le popolazioni vulnerabili aumentino e sviluppino una grave dipendenza dal gioco».
E non è un caso che la Regione Puglia e l’Aress, l’agenzia strategica regionale per la salute e il sociale, abbia promosso un apposito corso di formazione su prevenzione, cura e riabilitazione del disturbo da gioco d'azzardo (il terzo incontro si terrà giovedì 10 marzo, ndr), che ha come obiettivo quello di realizzare la formazione per 700 operatori delle equipe multidisciplinari che si occupano di disturbo da gioco d’azzardo al fine di promuovere azioni di prevenzione dell’insorgenza del gioco patologico, di diagnosi attraverso strumenti standardizzati di cura e di riabilitazione secondo linee guida e protocolli scientificamente validati.
Stando ai dati provenienti dalle Asl della Regione Puglia l’utente tipo è di sesso maschile (91%) con una prevalenza del fenomeno nella fascia d’età che va dai 20 ai 54 anni mentre nei soggetti di sesso femminile il disturbo compare e va via via sempre crescendo a partire dai 30 anni in poi.
Più del 50% di tutti gli utenti pugliesi è in carico alle ASL di Bari e Taranto, senza che questo significhi necessariamente una più alta prevalenza epidemiologica. Il numero degli utenti seguiti può infatti dipendere da tanti fattori: più facile e visibile accesso ai servizi sanitari, maggiore propensione di alcuni contesti familiari e sociali a riconoscere e segnalare il disturbo, più collaudata esperienza dei servizi sanitari a individuare precocemente il disagio.
Purtroppo il fenomeno del gioco d’azzardo si sta diffondendo anche tra i più giovani, tra i cosiddetti «nativi digitali», nati cioè dopo l'avvento del Web, e «la ragione per cui passano fino a 16 ore davanti al computer, compromettendo le ore di sonno, arrivando a lasciare la scuola e le amicizie reali - spiega Vincenza Ariano, direttore del Dipartimento dipendenze patologiche dell’’Asl Taranto e componente del comitato scientifico del Corso di formazione organizzato dalla Regione Puglia e da Aress - è, spesso, un gioco, soprattutto violento o di guerra, sul quale fanno "un investimento emotivo formidabile". Si esaltano, infatti, se ottengono risultati (virtuali), si deprimono se commettono sbagli e "ricevono insulti dagli stessi compagni di gioco che li hanno esaltati».
«Tenga presente - conclude Vincenza Ariano - che, dalla dipendenza da gioco a quella dall'alcol, passando anche per le nuove tecnologie o per la cocaina. I giovani risultano essere stati i soggetti più gravemente colpiti a livello psicologico dalla pandemia, che, complice l'isolamento forzato, ha determinato l'acuirsi di varie forme di dipendenze, in particolare alcol, droga e abuso di internet».