L’ultimo messaggio che ho ricevuto da Patrizia Nettis risale al 28 aprile scorso. Mi chiedeva, come tante volte in passato e sempre con il solito modo cordiale ed educato, di dare spazio anche sul sito della Gazzetta ad un comunicato stampa che aveva scritto e inviato per il Comune di Fasano. Due mesi dopo, il 29 giugno, Patrizia è stata trovata priva di vita nella sua casa di Fasano. Da allora ne abbiamo lette e sentite di tutti i colori. Patrizia collaborava da oltre 10 anni con il nostro giornale, era una colonna delle pagine di cronaca e di sport, lei che era una sportiva sin dentro il midollo, un esempio per tanti, uno sprone per molti sempre a disposizione della Gazzetta. La notizia della sua morte è stata come un pugno nello stomaco dal quale fatichiamo ancora a riprenderci, con la quale siamo incapaci ancora di fare i conti senza commuoverci.
Ecco perché non riusciamo più a nascondere lo sgomento, anzi lo sdegno, al cospetto della narrazione fiorita attorno alla morte (e alla vita) di Patrizia. Intendiamoci, non vogliamo – né possiamo – dare lezioni di deontologia o di giornalismo o di rispetto: saranno altre istituzioni – preposte per legge – a stabilire se è giusto e corretto marchiare a fuoco con lo stigma eterno del web il figlioletto della povera Patrizia, che domani o tra dieci anni si imbatterà googlando il nome di sua madre in inaudite infamie; se atti delle indagini preliminari aperte e coordinate dalla Procura di Brindisi possano essere concessi in pasto a un’opinione pubblica spesso impreparata a comprenderli, documenti che nulla aggiungono al nocciolo della questione ma servono solo ad alimentare una morbosa e inutile curiosità sulla vita privata di una donna; se il nome di una persona eccezionale quale Patrizia era, possa continuamente essere infangato senza che lei – purtroppo – possa difendersi.
Difendiamo Patrizia perché era una di noi: si, è vero. Lo facciamo perché il sorriso di Patrizia non merita tutto questo accanimento – proprio nelle giornate contro la violenza alle donne, complimenti! – dalla dubbia utilità ai fini investigativi; lo facciamo perché mai vorremmo che quello che viene fatto a Patrizia, con la scotomizzazione di ogni suo gesto, persino di ogni singolo messaggio scambiato tra chi la frequentava, venisse fatto a noi e a chiunque, anche ai protagonisti dello show delle ultime ore, ai quali non auguriamo di vedere esposte sul palcoscenico mediatico le rispettive vite private e le proprie chat. E perché in fondo è arrivato probabilmente il momento di alzare un argine in grado di separare in maniera visibile l’attività giornalistica dall’intrusione invasiva, illecita, immotivata nella vita privata, anzi privatissima, pur comprendendo la sete di giustizia dei suoi familiari.
Patrizia non era un personaggio pubblico ma una persona come tante altre, piene di vita e con qualche debolezza, esattamente come tutti noi. Vogliamo sapere se la sua morte è stata conseguenza di un reato ma, consapevoli che niente e nessuno ce la restituirà e la restituirà soprattutto a suo figlio e ai suoi genitori, coltiviamo la speranza che nel frattempo cessi lo show e cali il silenzio.
«Se hai bisogno ci sono» mi scriveva spesso Patrizia. Cara Patrizia, ci siamo anche noi.