Sabato 06 Settembre 2025 | 06:01

Buon Natale al Sud che non rinuncia a sognare il riscatto

 
Oscar Iarussi

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Oscar Iarussi

Buon Natale al Sud che non rinuncia a sognare il riscatto

Puzzle Italia

Sia chiaro, non parliamo del canonico «volemose bene», perché le differenze sono l’essenza stessa della democrazia. Sarebbe importante però non tradurre le diversità politiche in opportunismo del momento, laddove abbiamo necessità di visioni del domani

Sabato 24 Dicembre 2022, 12:00

Natale è una tregua. Le ostilità tendono a stemperarsi per una notte e persino in guerra può accadere che i nemici fraternizzino, come nelle trincee di fango e sangue di Ypres nel Primo conflitto mondiale (1914). Difficile, ahinoi, che il miracolo si replichi oggi nell’Ucraina invasa lo scorso 24 febbraio dalle forze armate russe. La guerra ha segnato tutto il 2022, sebbene lo sdegno per l’arroganza imperialistica di Putin sia stato presto soppiantato dalla preoccupazione per le ricadute economiche che ci colpiscono (il gas, le bollette). Poi nell’opinione pubblica è calata l’assuefazione, quasi l’indifferenza verso le vittime di Kiev, Mariupol, Odessa, Kharkiv, senza dimenticare i morti tra i soldati di Mosca. Carne da macello nel cuore dell’Europa...

Già, l’Europa si è certamente indebolita lungo la frontiera orientale dove, invero, si affrontano Usa e Russia. Ed è fuoriuscita (speriamo per sempre) dalle tragiche stagioni della pandemia più fragile, incerta, e ora turbata dallo scandalo della corruzione pro-Qatar che tocca i vertici dell’Europarlamento e inquieta soprattutto la sinistra.

Eppure la Cina così efficiente e autoritaria, così neo-capitalista e così tardo-comunista, sta ripiombando nell’incubo del Covid e dei lockdown per intere aree e centinaia di milioni di persone. La Russia è in guerra, appunto. Mentre l’America di Biden appare quasi incredula dell’egemonia perduta dopo un ventennio di reazioni allo shock dell’11 settembre 2001 risoltesi spesso in fallimenti, da ultimo con l’ingloriosa fuga da Kabul nel 2021. Ci resta dunque l’Europa, non terra di nessuno, ma di tutti, continente dei diritti e delle opportunità. Pare giunto a pensarla in tal modo finanche il nuovo governo presieduto da Giorgia Meloni, alla vigilia delle elezioni considerato sulla carta euro-scettico o euro-critico. Del resto, c’è in ballo la partita del Pnrr adesso in capo a Raffaele Fitto, ministro degli Affari europei e del Sud, due deleghe giustamente unificate nelle stesse mani e più cruciali che mai. L’Europa e il Mezzogiorno, con il Mediterraneo in cui guarda caso cresce l’attivismo della flotta russa, costituiscono l’orizzonte concreto del nostro futuro (energia, geopolitica, flussi migratori, culture). Serve però che le classi dirigenti si pongano nuovamente, non a chiacchiere, il tema del Sud da tempo dimenticato o sotto-rappresentato nell’agenda politica nazionale.

Nella storia italiana, da Cavour a Sturzo, da Gramsci a De Gasperi, da Salvemini a Moro, non v’è élite degna di dirsi tale che non abbia posto la questione meridionale in cima ai pensieri e all’azione. Ciononostante il divario con il Centro-Nord non si è colmato e per certi versi i parametri economici e sociali rivelano un peggioramento del Sud (per dirne una, si legge troppo poco e dove non si legge l’economia non cresce). Fermo restando che da Tangentopoli in avanti a tener banco è stata una paradossale «questione settentrionale», che oggi alimenta la pretesa dell’autonomia differenziata, non vi sarà anche qualche responsabilità nostra? Siamo capaci o no di rilanciare un riscatto meridiano per istruzione, sanità, trasporti? O dobbiamo limitarci a parteggiare per l’uno o per l’altro dei contendenti politici nelle nostre regioni e città? Tranne poi assistere, che so, alla contesa congressuale nel Pd tra il presidente e la vicepresidente dell’Emilia-Romagna, Bonaccini contro Schlein (ieri sera si è aggiunta la candidatura del triestino Cuperlo). Il Sud? «Non pervenuto», come si diceva una volta delle temperature meteo. A proposito, da noi s’annuncia un Natale caldo, godiamocelo!

Nei giorni scorsi la «Gazzetta» ha dato vita a una serie di incontri dal titolo «Parola Mia» a Bari, Foggia, Taranto, Lecce e Potenza. Un lessico animato da studiosi, artisti, imprenditori, ciascuno dei quali ha scelto una parola intorno alla quale riflettere in pubblico. Nella trama della rassegna a emergere in filigrana è stato il comune desiderio di fare squadra, l’impellenza di un’alleanza fra istituzioni e cittadini, associazioni e imprese, nel segno dei sogni e dei bisogni del Mezzogiorno, innanzitutto il Lavoro. Una comunità di interessi e di passioni cui la «Gazzetta» non smetterà di dar voce.

Sia chiaro, non parliamo di un malinteso «irenismo» politico o del canonico «volemose bene», perché le differenze sono l’essenza stessa della democrazia. Sarebbe importante però non tradurre le diversità politiche in opportunismo del momento, laddove abbiamo necessità di visioni del domani. Lo chiedono gli operai alla disperazione dell’ex Ilva nella Taranto che pure già guarda oltre l’acciaio, i foggiani perbene quasi rassegnati al dilagare del crimine nella Daunia, i lucani dei paesi in via di spopolamento, i baresi e i leccesi fieri di città in vitale trasformazione cui tuttavia sembra mancare un quid, il sale di una promessa comune, l’audace bellezza della sfida.

Buon Natale ai nostri Lettori.

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