«È stato eletto un patriota», ha detto ieri l’onorevole Giorgia Meloni di Ignazio La Russa, neo presidente del Senato con 116 voti, fra i quali non c’erano quelli di Forza Italia. Una prima, eclatante smagliatura nel centrodestra vittorioso alle ultime elezioni, ricucita grazie al soccorso anonimo giunto dall’opposizione, forse in dispetto a Silvio Berlusconi o magari per stima verso La Russa. «Patriota» è una parola ricorrente nel lessico della destra sociale di Fratelli d’Italia (e non solo) che finora l’ha spesso utilizzata in chiave polemica contro l’internazionalismo, l’europeismo, il globalismo della sinistra. Le radici del termine, almeno in età moderna, sono però risorgimentali e mazziniane, come del resto la triade «Dio, patria, famiglia».
«Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!», ammoniva Nanni Moretti in Palombella rossa, film sulla crisi ideologica della sinistra (correva l’anno 1989...). A giudicare dalle parole risuonate ieri a Palazzo Madama e da taluni passaggi simbolici una nuova stagione forse è possibile. La seduta si è aperta con un discorso altissimo, vibrante e nitido della senatrice a vita Liliana Segre, che oggi pubblichiamo integralmente a pagina 21 nell’auspicio che venga letto e commentato innanzitutto nelle scuole. I docenti potrebbero così spiegare ai più giovani chi è Liliana Segre, che cosa ha dovuto subire a causa delle leggi razziali fasciste del 1938 e poi nel campo di concentramento nazista di Auschwitz-Birkenau. Ma anche chi erano Giacomo Matteotti e Piero Calamandrei, ai quali Segre ha fatto riferimento parlando della nostra Costituzione.
Segre presiedeva la seduta inaugurale della diciannovesima legislatura in qualità di membro anziano e si è espressa in favore di una politica finalmente non urlata, «che senza nulla togliere alla fermezza dei diversi convincimenti, dia prova di rispetto per gli avversari, si apra sinceramente all’ascolto, si esprima con gentilezza, perfino con mitezza». La mitezza quale virtù politica: un’idea cui nel corso del ‘900 hanno dedicato riflessioni cruciali Primo Levi e Hannah Arendt, Aldo Capitini e Rocco Scotellaro, Norberto Bobbio e Alex Langer.
Quando è toccato a La Russa raggiungere lo scanno della Presidenza, l’erede della tradizione missina della fiamma ancora ardente nel simbolo di FdI ha porto un mazzo di rose bianche alla Segre. Chissà se memore del fatto che «La Rosa Bianca» era un gruppo della resistenza tedesca anti-nazista... Lei aveva menzionato che in questo ottobre cade il centenario della Marcia su Roma, preludio della dittatura fascista. Lui ha citato il presidente Sandro Pertini che fu un fiero, tenace oppositore del fascismo: «Nella vita talvolta è necessario saper lottare non solo senza paura, ma anche senza speranza».
La Russa ha evocato gli «anni di piombo», le stagioni della violenza estremistica nei Settanta del secolo scorso, inchinandosi alla memoria di tre giovani vittime milanesi di destra e di sinistra (Ramelli, Fausto e Iaio) e del commissario Luigi Calabresi. Quindi, il neo presidente ha ricordato l’invito a superare ogni contrasto storico che segnò il discorso di insediamento di Luciano Violante a presidente della Camera nel 1996 (vittoria dell’Ulivo). Ma La Russa ha reso omaggio anche a un altro pugliese, al pari di Violante che è originario di Rutigliano. È Pinuccio Tatarella, «che ha insegnato a me e non solo a me il valore del dialogo e dell’armonia... Non applaudite troppo che Pinuccio si arrabbia».
Insomma, a dispetto di una campagna elettorale tanto virulenta quanto vacua, un po’ vogliamo confidare che in questa legislatura si possano affrontare talune ferite storiche e che i conti della politica con il fascismo siano almeno tematizzati, se non chiusi. Sarebbe l’ennesimo paradosso italiano, una tantum positivo. Vogliamo leggere in tal senso la dichiarazione di La Russa - lapalissiana, ma non scontata - di riconoscere pienamente le celebrazioni del 25 aprile, del 1° maggio e del 2 giugno, cioè la Liberazione, la Festa del Lavoro e la Festa della Repubblica. Ci è parso invece stonato il suo richiamo ad aggiungere la data di nascita del Regno d’Italia tra le ricorrenze nazionali. Sarebbe poco mazziniano e, in definitiva, non patriottico.