l'anniversario

Shining, un incubo lungo 45 anni

Anton Giulio Mancino

L’editore Taschen pubblica quello che può essere considerato il testo definitivo di riferimento sul punto di non ritorno dell’orrore cinematografico

Benemeriti anniversari o cifre tonde perché, mentre Shining di Stanley Kubrick compie quest’anno che volge al termine il suo quarantacinquesimo esatto, l’editore Taschen pubblica quello che può essere considerato il testo definitivo di riferimento sul punto di non ritorno dell’orrore cinematografico: Stanley Kubrick’s Shining, un cofanetto curato da J. W. Rinzler e Lee Unrich che merita tutti i suoi 100 euro, con due possenti volumi rilegati, uno per l’apparato fotografico (in gergo “scrapbook”) con copertina marrone e fregi dorati come la dorata sala ricevimento dei fantasmi dell’Overlook Hotel; l’altro rosso come il sangue del bagno ugualmente dell’Overlook, illustrato e con saggi, documenti, testimonianze e materiali vari; per un ammontare complessivo di 1358 pagine. Dopo i monumentali Taschen The Stanley Kubrick Archives, Stanley Kubrick’s Napoleon e Through a Different Lens: Stanley Kubrick Photographs, con Stanley Kubrick’s Shining si comprende fino in fondo e dettagliatamente l’importanza di questo compendio della storia e del genocidio americano e dell’arte del disadattamento assoluto di un testo letterario quale il romanzo omonimo di Stephen King, che a Kubrick non ha mai perdonato tanta autonomia creativa e intellettuale.

«You must read this book», conclude Steven Spielberg nella prefazione. «And then – aggiunge – watch The Shining again the second you put the book down. I don’t care if you’ve seen it 50 times, you will never see it same way again. It’s going to change everything». Serve tradurre? No, se la celebrità senza tempo che unisce più generazioni all’unisono di spettatori stenta a racchiudere la portata di Shining, di gran lunga più importante del bel libro di King; e che è anche una straordinaria e implacabile testimonianza artistica della “nascita di una nazione” crudele, artefice purtroppo di un paradigma di lungo corso negli scenari geopolitici mondiali. La verità è che due operazioni congiunte, nell’ammirazione conclamata, hanno molto nuociuto al migliore Shining cinematografico di sempre. La prima è la caccia al tesoro delle infinitesimali interpretazioni di simbologie riposte in ogni angolo dell’inquadratura e della struttura testuale, perché in questa vertigine del senso minimale si è smarrito l’affondo esplicito sulle ragioni profonde e genealogiche della vera paura filmica. L’incubo di Shining sta nel delitto collettivo dei nativi americani che ha sancito il diritto nazionale dei colonizzatori, donde il microcosmo che si rigenera in termini atemporali nell’Overlook dove si perpetrano da quel dì orrori. Nessun “jump scare” che fa saltare sulla sedia o costrutto narrativo noioso che attanaglia gli horror contemporanei può reggere il confronto con l’evidenza storiografica kubrickiana, quindi con quel bagno di sangue che rappresenta il quantitativo in eccesso della storia del cinema orrorifico e di quella congiunta, al di là delle mitologie edificanti, degli Stati Uniti d’America, dentro i confini, tra le pieghe dei leader politici e dei presidenti assassinati e nell’intero pianeta, per effetto dell’individualismo imperialista ora incarnato dal degno presidente, due volte in carica.

La seconda, macroscopica ragione del nuovo “misunderstanding” che sta accompagnando il film, inversamente proporzionale al “merchandising” e alle riedizioni, riguarda le versioni “extended”, due per l’esattezza, che hanno portato a 144 e a 146 minuti il minutaggio in maniera irresponsabile contro l’unica corretta, di 119 minuti licenziata nel 1980 dall’autore vivente. Ciò che con criterio demenziale e quantitativo non si è compreso, irretendo anche nell’abbaglio critici, storici e studiosi, è il “delitto” perpetrato verso il “cut” originale, in cui molte cose restavano volutamente inspiegate, a vantaggio del mistero che è anche quello dell’arte e del fantastico puro.

Allungando il brodo, ovvero dei troppi minuti girati ma ragionevolmente cestinati da Kubrick, si è ricavato un film che ora spiega l’inspiegabile, chiosa, ripete e soprattutto cancella intuizioni audiovisive, fondate sul montaggio, che ne determinano l’unicum geniale di quarantacinque anni fa. Il danno irreversibile, in mancanza del prototipo in circolazione, è la progressiva scomparsa, accompagnata da quella cui sono stati condannati i supporti digitali, del vero Shining. L’edizione prima e insostituibile è stata purtroppo sostituta, anzi sovrapposta dal restauro recente. Si tratta di un’operazione orwelliana che cancella la memoria e uniforma questo improprio esemplare di Kubrick, rendendo troppo esplicativo un cineasta miliare per omologarlo ai tanti altri che tra film e serie dicono e ridicono le cose, abbassando la soglia dell’attenzione e l’approccio già scarsamente cognitivo del pubblico di tutte le età.

Privacy Policy Cookie Policy