Libri
L’ostinazione e il talento
La penna di Liguori
Quel sostantivo femminile - ostinazione - che rimbalza altrove e gioca con l’ambivalenza della sua radice, illumina ora l’impegno di chi non si risparmia e la perseveranza nel perseguire uno scopo, ma snuda a volte un altro lato, oscuro: la persistenza quando si fa irragionevole e genera rovina. Quel sostantivo maschile - talento - che, invece, non lascia spazio alle interpretazioni, malgrado tutte le eventuali variazioni sul tema, dice la capacità non comune, la predisposizione di alcune persone toccate da un fuoco, particolarmente dotate. Eppure, un comun denominatore crea l’accordo che rivela l’incrinatura dentro queste due parole – ostinazione e talento – e si tratta della conseguenza estrema che innescano nelle vite di chi ne pratica le vie: l’invenzione della solitudine. Soli lo si è quando si esercita o si reprime un qualche talento? O forse qualunque talento espresso è soltanto un altro esorcismo per far affluire il nostro demonio, lo straniero che ci abita e che chiede altro amore, ancora una dose e poi di nuovo, sempre, affinché il desiderio di esserne degni si trasformi nel piacere che deriva dal sentirsi per un poco figli. Figli legittimi. Creature prosciolte dall’obbligo di appartenere alle aspettative di chi le ha messe al mondo, esseri parlanti e dunque chiamati a disobbedire al codice silenzioso che allunga le ombre segrete di certi padri – così simili al dottor Victor Frankenstein - sulle vite dei figli. E quei segreti sono echi di musiche che suonano in altre stanze, negli altrove teorici nascosti dentro i soccombenti.
Chi sono questi ultimi se non coloro che, alla stregua delle case infestate, diventano persone abitate da talenti lasciati a marcire sotto le macerie delle vite mancate? E cosa accade quando – come nella vicenda del maestro Salieri e dell’allievo Mozart, nell’Amadeus di Milos Forman – il soccombente è il padre, abitato da un talento avariato (foss’anche quello di vivere l’arte della gioia) mentre un fuoco alimenta la musica di suo figlio? Il tema rimanda a Thomas Bernhard, che nel 1983 firmò “Il soccombente”, quel romanzo intimamente ispirato al genio musicale di Glenn Gould e al silenzio al quale il suo talento costrinse tutti gli altri pianisti della sua generazione. Ma stavolta Bernhard è solo una premessa per parlare di un altro romanzo, da poco arrivato in libreria, che su questo cortocircuito costruisce una storia di talenti - mai lievi, sempre disperati e addirittura proibiti - firmato dalla scrittrice salentina Elisabetta Liguori ed edito da Piemme: Il figlio ostinato. La storia raccontata da Liguori è ambientata nel Salento del 1892, nel piccolo borgo di Specchia, dove cresce l’ostinazione del talentuoso Aniello Visconti, che decide di scappare a Napoli per studiare musica e innesca così l’ira del padre Alfredo, direttore d’orchestra a sua volta perseguitato dalla musica che considera però una maledizione di famiglia, il marchio di Caino, colpa e castigo.
Per raccontare la musica come si racconta un corpo desiderato e negato, bisogna riconoscere intimamente l’ostinazione e il talento, Liguori ne è la felice testimone da oltre vent’anni, da quando ha iniziato a portare avanti una instancabile ricerca, l’inevitabile evoluzione della sua voce peculiare - da Il credito dell’imbianchino in poi, romanzo dopo romanzo – che è anche figlia di una restanza in un Salento contemporaneo spesso colonizzato dalle scritture che lo impoveriscono o ne riciclano gli immaginari senza nulla aggiungere al mestiere di scrivere. Del resto, l’ostinazione non improvvisa: come la stessa scrittrice racconta quando le si domanda come ha cominciato, bisogna risalire al tempo favoloso dell’infanzia, quando Liguori era una bambina chiamata a leggere, in una delle scuole che nel ’78 furono scosse dalle immagini dei notiziari, un tema dedicato al rapimento Moro e che le offriva l’opportunità di parlare di suo padre per scoprire che scrivere, essere ascoltata e sentirsi amata coincidevano con la natura del suo piacere. Anche Aniello, il protagonista del suo nuovo romanzo, lo scopre presto. E quel piacere cambia tutto, è eversivo, si fa soglia slargata dal ritmo delle tre donne che sono le note in levare di uno stile fedele al gusto polifonico della struttura narrativa.
Due generazioni attraversano queste pagine che traboccano di musica popolare, desiderio e veleno. Dentro Il figlio ostinato ci sono lampi intimi e tempeste storiche, dai pretesti autobiografici - le memorie di famiglia che Liguori ritaglia sulle figure favolose del nonno e del bisnonno materni – si parte per un viaggio che restituisce al lettore il senso dell’impresa di essere figli della letteratura e creatori, l’ostinata musica che resiste, il talento che ci vuole per scrivere questo romanzo.