Cinema
Il mito al cinema del colpo grosso
Dalla pantera rosa a Clooney
In un’epoca in cui un bel volume Sansoni con le opere teatrali e i racconti di Cechov si trova sulle bancarelle, buttato lì a tre euro, e l’identità plurimillenaria europea è calpestata dai nuovi cretini volanti ai vertici del pianeta, ci stanno un po’ di connessioni filmiche correlate al recente furto di gioielli napoleonici al Louvre. Il primato di notorietà in materia di gioie vere o immaginarie trafugate dagli spazi museali spetta alla saga de La pantera rosa diretta da Blake Edwards, dove però il bizzarro gioiello omonimo non viene rubato in ogni film, né in tutti quelli con il cinetico e incorreggibile, geniale a suo modo ispettore Clouseau di Peter Sellers, ma solo nel primo, La pantera rosa del 1963, nel terzo (o il quarto se si vuole conteggiare Sellers o meno) La pantera rosa colpisce ancora(1974) e nel settimo e ottavo (o sesto e settimo, stante il criterio di cui sopra), rispettivamente Sulle orme della Pantera rosa (1982), uscito dopo la morte di Sellers, con immagini di repertorio, e La Pantera rosa - Il mistero Clouseau (1983), completamente senza Sellers. Anche perché i beni preziosi sottratti, a parte che nell’apripista, non sono determinanti. A partire dal capolavoro Uno sparo nel buio (1964), i titoli privi della circostanza del colpo grosso restano i più irresistibili e scatenati comicamente, con il diretto superiore Dreyfuss, interpretato da Herbert Lom, nevrotizzato e poi internato poiché che non regge l’onda d’urto del pacato, demenziale e metodico Clouseau, nella cui assurda logica alberga la purezza del nulla cognitivo assoluto. Ma un’insospettabile e mai notata valenza speciale la riveste proprio la “cenerentola” del novero, nonché l’ultimo anche di Edwards, Il mistero Clouseau: poiché il ladro si chiama Gino Rossi, come l’artista veneto che proprio nella città del Louvre aveva recepito la determinante influenza di Gauguin e respirato, assieme a molti artisti italiani dell’epoca nel ricordo di Casorati, «l’aria di una nuova grande civiltà pittorica». Insomma l’artista in una curiosa ed evocativa accezione onomastica che ruba l’inestimabile diamante sembra essere stato il motto di questo piccolo film “negletto” e incompreso. Dopodiché il cinema si è perso in infiniti rivoli di merce di valore, tra arte e mercato soprattutto dell’arte o delle vestigia del passato, da Entrapment con Sean Connery del 1999 a Ocean’s Twelve (2004) di Steven Soderbergh, sequel non indispensabile del suo stesso Ocean’s Eleven – Fate il vostro gioco (2001), già modesto remake con George Clooney e compagnia non cantante del notevole, omonimo film di Lewis Milestone del 1960 con Frank Sinatra e compagnia cantante, in Italia rititolato Colpo grosso. Ci sono poi i classici animati giapponesi della memorabile serie già manga, poi televisiva e cinematografica Lupin III creata da Monkey Punch. E che pur nell’eccellenza ironica, post-moderna e grafica non arriva al senso proprio della realtà molto più misteriosa, tutta italiana di delitti senza castighi e intrighi mafiosi trasversali e di lungo corso, che ruota attorno al Caravaggio rubato, ovvero la seicentesca tela della Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi sottratta a una chiesa di Palermo nel 1969, chissà perché, da chi e come, lasciando trarre le tragicomiche conclusioni contestuali prima a Leonardo Sciascia nel terminale “calepino” poliziesco in forma di romanzo/racconto reticente del 1989, Una storia semplice, poi disadattato sullo schermo da Emidio Greco nel 1991; quindi a Roberto Andò nel film Una storia senza nome (2018). Ma la vera chiave di volta delle criminali sparizioni odierne nel cuore di Parigi dovrebbe, a livello cinematografico, secolare e culturale, riaprire altre vecchie ferite risalenti alla costruzione napoleonica di un’idea potente del Louvre come luogo-simbolo dove prende forma «la grande strada europea dell’arte», secondo il personaggio chiave di un film fondamentale in questa direzione come Francofonia (2015) di Alexandr Sokurov. Qui il sovrano francese generato dalla Rivoluzione e approdato all’imperialismo rivendica per sé il primato di aver concentrato nella capitale con le campagne militari i beni preziosi delle civiltà trascorse e implicitamente sconfitte dal tempo, dalle armi, dalla violenza. Tanto che Hitler e i gerarchi nazisti a Parigi nel 1940 cercano di “rapinare” per diritto del vincitore sempre il Louvre e accaparrarsi i capolavori artistici custoditi; donde a guerra finita, per il ribaltamento ulteriore del gioco delle parti, i liberatori, con il reparto speciale dell’esercito statunitense, alla ricerca dei pezzi rari fatti sparire dai nazisti durante il sanguinoso dominio inflitto all’Europa, con corollario artistico. E qui fa testo, daccapo al cinema, con Clooney anche regista, Monuments Men (2014).