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In principio fu Marlene. La “voglia matta” al cinema

ANTON GIULIO MANCINO

Il cinematografo è di per se stesso un dispositivo desiderante, appannaggio un tempo di maschi che si interfacciavano con controcampi di donne mutanti

Il concetto di “desiderio” al cinema porta diritto al Roberto Rossellini più melodrammatico che neorealista dell’immediato dopoguerra, ovvero a quel Desiderio (1946) diretto con Marcello Pagliero; oppure all’omonimo film, in originale Desire di dieci anni prima con Marlene Dietrich. Ma il cinematografo stesso è di per se stesso un dispositivo desiderante, appannaggio un tempo di maschi che si interfacciavano con incomprensibili, sfuggenti e perciò incommensurabili controcampi di donne mutanti; e che al cospetto del maturo Fernando Rey in Quell’oscuro oggetto del desiderio (1977) di Luis Buñuel, assumevano l’ironico aspetto sdoppiato e surrealisticamente naturale di differenti donne in avvicendamento continuo: Angela Molina e Carole Bouquet. 

Ma nel comparto rettangolare dove il maschile folleggia come il Genio dentro la Lampada di Aladino, la donna è “mobile” e moltiplicabile come in (1963) di Federico Fellini, pronto a distribuirle in sogno al protagonista Marcello Mastroianni in un harem pur sempre minaccioso dell’immaturità e del narcisismo maschile, fino a farne deflagrare la consistenza plurale ne La città delle donne (1980), con strizzate d’occhio alla presenza femminile nelle file della lotta armata. Ed è appunto questa, sfogliando il nutrito catalogo delle stupende copie restaurate in 4K che il listino aggiornato Cecchi Gori Entertainment alterna tra dvd e blu-ray alla sala in un meccanismo virtuoso, la chiave, quella più intelligente e poetica proveniente dalla migliore e inesausta linfa della Nouvelle Vague francese, che porta decenni dopo il giovane poliziotto di Hong Kong Express (1994) di Wong Kar Wai a sfiorare e inseguire di continuo una ragazza fantasma di nome May che assume di volta in volta un’identità alternativa e sostituibile. Cambia in corso d’opera l’uomo-poliziotto, come la donna, dapprincipio con la parrucca, gli occhiali scuri e il trench per far fronte simultaneamente al sole e alla pioggia, quindi commessa in un fast-food con il volto di Faye Wong che firma una memorabile cover di Dreams dei Cranberries, e decolla al ritornello insistente di California Dreamin’ di Mamas & Papas. Lo spettro della Cina incombente in una Hong Kong dimidiata tra Oriente e Occidente, dove l’amore e il desiderio univoco scadono come i prodotti in scatola, non è che l’epifenomeno dei desideri proibiti di altri classici dell’autore di In the Mood for Love (2000), dal film d’esordio As Tears Goes By (1988) a Happy Together (1997), tutti in viaggio tra grande e piccolo schermo ora con il marchio Cecchi Gori; e che sul fronte asiatico rincara la dose del desiderio da quello proibito e fisicamente molto esplicito e distruttivo de L’impero dei sensi (1976) di Nagisa Oshima, quindi del complementare L’impero della passione (1978) che tra desiderio, tradimento e delitto creano le premesse con la Corea del Sud di Ferro 3 (2004), classico di Kim Ki-duk, sempre tra gli imperdibili dispensati da Cecchi Gori. 

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