La sentenza

Taranto, clan D'Oronzo-De Vitis 36 condanne: cade accusa mafia

Sono caduti i reati di associazione mafiosa e concorso in associazione mafiosa, mentre ha retto l’accusa di associazione finalizzata al traffico di droga. Assolti 25 imputati

Il gup del Tribunale di Lecce Stefano Sernia ha condannato con il rito abbreviato 36 dei 61 imputati del processo a carico di alcuni clan tarantini, tra cui il presunto gruppo criminale D’Oronzo-De Vitis, smantellati con il blitz chiamato 'Feudò dalla Guardia di finanza il 15 giugno 2016. Sono caduti i reati di associazione mafiosa e concorso in associazione mafiosa, mentre ha retto l’accusa di associazione finalizzata al traffico di droga. Venticinque gli imputati assolti.

Secondo l’accusa, l’organizzazione - capeggiata dal boss Giuseppe Cesario, detto Pelè (morto nel marzo 2014) - operava "in contatto con altre consorterie», attive a Taranto (come, appunto, il clan D’Oronzo-De Vitis) e in Calabria. Dopo il decesso del capo la gestione degli affari illeciti sarebbe passata poi nelle mani dei suoi luogotenenti.

Il gup ha condannato a 16 anni di reclusione Orlando D’Oronzo e Nicola De Vitis, a 14 anni Luciano Bello e Salvatore Musciacchio, a 13 anni Gianni Bello, a 11 anni e un mese Egidio De Biaso, a 10 anni e 10 mesi Luigi Di Bella, a 10 anni e 4 mesi Aldo Solfrizzi. Oltre alla droga, i gruppi criminali erano dediti - secondo l’accusa - all’usura, alle estorsioni, al porto e alla detenzione di armi, al contrabbando di sigarette. Condannato a 2 anni di reclusione anche un avvocato per fraudolento danneggiamento di beni assicurati, mentre è stato assolto (come gli altri) dal reato di associazione mafiosa. 

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