emergenza xylella
Gallipoli, ecco gli ulivi che resistono al batterio
«Cellina di Nardò» e «Ogliarola» intatte in piena zona focolaio
di Tiziana Colluto
LECCE - Non sono semplicemente tolleranti o resistenti al batterio Xylella fastidiosa, ne sono proprio immuni: 19 esemplari di ulivi selvatici, in piena zona focolaio, nel Gallipolino, sono risultati indenni, in grado di non farsi per niente attaccare dal patogeno. La gran parte di loro, come conferma la caratterizzazione genetica effettuata, è figlia delle due storiche cultivar locali, Cellina di Nardò e Ogliarola. Sono i risultati, ancora agli albori ma sorprendenti, di un filone di ricerca che va avanti da un anno, sull’idea di un imprenditore olivicolo di Gagliano del Capo, Giovanni Melcarne, con il supporto scientifico del Cnr di Bari e quello pratico di diversi agricoltori.
Venerdì scorso, i ricercatori dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante hanno svolto l’ultima verifica sul territorio: sotto osservazione ci sono diversi altri olivastri, mentre sui primi 19 cinque cicli di monitoraggio, nell’arco temporale di un anno, hanno confermato la negatività al batterio. I campioni sono stati sottoposti ad analisi «pcr quantitativa», metodo molto sensibile anche alla minima presenza del patogeno. Tutti provengono da aree terribilmente colpite dal disseccamento rapido: Ugento, Taviano, Gallipoli, ma anche il nord Leccese, come Trepuzzi. E tutti non solo non hanno sintomi di disseccamento, ma non sono stati affatto attaccati da Xylella e hanno anche il frutto.
Si va con i piedi di piombo, eppure i primi risultati sono incoraggianti: «gli esemplari sono stati scelti tenendo conto di alcuni aspetti produttivi – spiega Melcarne - perché abbiano un discreto carico di olive e una pezzatura almeno delle dimensioni della Cellina e Ogliarola. Cerchiamo specie che abbiano drupe grosse, tali che, se coltivabili, consentano all’agricoltore di trarre reddito. Tutti i semenzali (piante spontanee, ndr) che dovessero risultare immuni verranno testati, infatti, anche a fini produttivi. Il passo in avanti sarebbe quello di trovare una pianta con dna autoctono».
Insomma, più che nelle cultivar di Leccino e Favolosa, la speranza di trovare una risposta al dramma del disseccamento degli ulivi pugliesi è nelle sue radici, nell’evoluzione spontanea di Cellina e Ogliarola.
Serviranno almeno altri due o tre anni per definire con certezza scientifica l’immunità di uno di questi semenzali ora sotto la lente. Intanto, però, si insiste: «Se dovesse andarci bene – dice Melcarne - per primo potremmo innestare la cultivar immune non resistente su alberi secolari, per salvarli, nella speranza che sul funzionamento degli innesti arrivi nel frattempo una evidenza scientifica, che al momento non c’è, sebbene i dati preliminari siano molto entusiasmanti. L’altra strada è partire con i reimpianti di ulivi nelle zone completamente distrutte».