di ANGELA LEUCCI
Edoardo Winspeare torna alla Mostra del Cinema di Venezia. Il suo nuovo film La vita in comune sarà infatti in concorso nella sezione «Orizzonti» alla 74esima Mostra d’Arte Cinematografica. La pellicola è prodotta Gustavo Caputo, Edoardo Winspeare e Alessandro Contessa - una produzione Saietta Film con Rai Cinema in associazione con Banca Popolare Pugliese, con Charles e Diane Adriaenssen e Tea Time Film e il contributo di Apulia Film Commission. Il regista - che vive a Depressa - ha inventato un microcosmo immaginario, il comune di Disperata, un paesino in cui si intrecciano le vite del sindaco Filippo Pisanelli con i due carcerati Angiolino e Pati, personaggi talmente verosimili che potrebbero esistere davvero, in una cittadina qualunque della Puglia, in uno di quei borghi da cartolina che conservano la bellezza, ma non senza la profondità. Il cast artistico è formato da Pati (Claudio Giangreco), Angiolino (Antonio Carluccio), Eufemia (Celeste Casciaro), Biagetto (Davide Riso) e Filippo (Gustavo Caputo).
«È motivo d’orgoglio per Apulia Film Commission - dicono il presidente e direttore generale Maurizio Sciarra e Antonio Parente - essere presenti a Venezia con la nuova opera di Winspeare. Il suo lavoro cinematografico, ancora una volta, dimostra che la Puglia possiede una completa autonomia nella realizzazione di opere audiovisive». Anche se il cinema in Puglia ha avuto numerosi esempi e tendenze prima del suo lavoro, Winspeare è stato iniziatore di una Puglia che si racconta dall’interno. «È la mia terra. Semplicemente: la amo. E mi diverto a raccontarla perché la conosco bene. E con essa cerco di raccontare dei temi universali».
Winspeare, non è la prima volta alla Mostra del Cinema di Venezia, ma cosa ha pensato quando le hanno comunicato la partecipazione? «Sono molto contento, è la più antica mostra del cinema, Venezia è la gran signora dei festival. Come il Real Madrid o la Juventus per il calcio».
Di cosa parla il nuovo film? «È l’affresco di un paese che si chiama Disperata. È un paese abbandonato da Dio, amministrato da un sindaco depresso che non sa affrontare la propria maggioranza. La sola cosa che gli riesce bene è insegnare letteratura in un carcere. Lì conoscerà un bandito, suo compaesano, e quest’amicizia sarà foriera di belle cose. Il bandito e il fratello avrebbero voluto diventare i boss del Capo di Leuca e invece scoprono la poesia, la bellezza. Accadono molte cose, come il ritorno della foca monaca, ma scoprirete tutto al cinema. Diciamo che la storia è un pretesto per raccontare un paese e la sua umanità, fatta di persone nelle piazze, sedute al bar ad aspettare metaforicamente Godot».
La bellezza e quindi l’arte salveranno il mondo? «L’arte dà sollievo ed è un mezzo per comprendere il mondo secondo me. Ho sempre paura di sentenziare, ma credo che comprendere il mondo sia anche la chiave per far qualcosa per l’umanità. A 52 anni la bellezza mi meraviglia e mi commuove quando questa diventa un’epifania per le altre persone».
Ferzan Ozpetek ha messo in risalto la luce del Salento, Federico Moccia è stato colpito dal suo silenzio. Qual è per lei il tratto distintivo di questa terra? «Vivo in Puglia, per cui possono elencare 40 o 50 di questi tratti. Mi piace l’umanità, la gente, il senso della comunità che esiste ancora nei nostri paesi. Certo, la xylella ci sta togliendo parte della bellezza. Ma io credo nel bello. E, come dice una nota poesia di Saffo, è bello ciò che si ama».