Morì a Sanremo
Cinquant’anni dopo torna la favola nera di Luigi Tenco
di Oscar Iarussi
Non si chiude il libro dell’inquietudine di Luigi Tenco, il cantautore che si uccise a Sanremo mezzo secolo fa, nella notte fra il 26 e il 27 gennaio 1967. Aveva 28 anni. Ma ancora oggi molti ritengono che in realtà Tenco fu vittima di un «delitto perfetto» perpetrato dalla criminalità marsigliese o dall’estrema destra, nonostante che l’ipotesi dell’omicidio sia stata contraddetta da due sentenze della magistratura e dalla riesumazione del corpo nel 2006. L’hanno sempre pensata così, tra gli altri, Orietta Berti («Per me non si è suicidato») e il fratello di Luigi, stando a quanto rivela Francesco Guccini in un volume che esce per il cinquantennale.
Il mistero non fa che accrescere il mito. La sera in cui fu trovato morto in una dépendance dell’hotel Savoy della città ligure, Tenco aveva appena eseguito Ciao amore, ciao sul palco del Casinò. Una canzone «maledetta»? Bah. Di sicuro il testo era stato modificato pur di partecipare al Festival. Via gli echi antimilitaristici, evidenti nella prima versione; rimasero invece i riferimenti al dramma degli emigranti, che, a ben vedere, ne fanno un brano attualissimo... «Guardare ogni giorno / se piove o c’è il sole, / per saper se domani / si vive o si muore / e un bel giorno dire basta e andare via. / Ciao amore, / ciao amore, ciao amore ciao. / Ciao amore, / ciao amore, ciao amore ciao. / Andare via lontano / a cercare un altro mondo / dire addio al cortile, / andarsene sognando».
Già, andarsene sognando e magari infuriando sulla soglia di un mondo nuovo che di lì a poco avrebbe dato i numeri, anzi un numero cruciale: 68! D’altronde, i moti nelle università italiane cominciarono giusto in quell’inverno del 1967.
A Sanremo Tenco si presentò in coppia con Dalida. Lo stesso motivo venne cantato separatamente dall’uno e dall’altra, ma ad unirli c’era ben più della musica. Un legame sentimentale forte e turbolento, dicono tutti, senza curarsi delle conferme mai giunte dagli interessati. E di certo a unirli c’era un destino comune, visto che la diva italo-francese nata a Il Cairo da genitori calabresi (all’anagrafe Iolanda Cristina Gigliotti), avrebbe tentato più volte il suicidio, fino a riuscirci nel 1987.
Dalida convinse Luigi ad andare a Saremo, che lui avrebbe preferito disertare. Ciao amore, ciao non entrò in finale, classificandosi soltanto dodicesima nel voto popolare, e mancò il ripescaggio toccato a La rivoluzione di Gianni Pettenati. E fu Dalida a trovare il suo compagno esanime, con un foro di proiettile in testa. Un foglio scritto a mano da Tenco - con la sua calligrafia, secondo più di una perizia - notificava l’addio: «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda in finale Io, tu e le rose (di Orietta Berti, ndr) e una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi».
Ora che incombe l’edizione 2017 del Festival (7-11 febbraio), Tenco torna «di scena» ed è al centro di un autentico revival di libri, incontri, iniziative. Arriva persino un francobollo che sarà emesso il 27 gennaio. Mentre in Francia sta facendo furore il film Dalida interpretato da Sveva Alviti, trentenne modella e attrice italiana che il giorno dell’Epifania ha avuto un malore in diretta Tv, alimentando a suo modo la «favola nera» della cantante legata a Tenco. Sveva Alviti, preferita per il ruolo a Penélope Cruz, sarà ospite di Carlo Conti a Sanremo per lanciare il film, che tra gli interpreti ha anche il pugliese Riccardo Scamarcio, in programma su Raiuno mercoledì 15 febbraio. Anche con lei, immaginiamo, si riparlerà di Tenco.
Il cantautore era nato a Cassine, in provincia di Alessandria, nel 1938, ma era cresciuto a Genova dove muove i primi passi nello spettacolo suonando il clarinetto e il sax in gruppi jazz di cui fanno parte Bruno Lauzi e Fabrizio De Andrè. Poi nel 1958 scopre il rock’n’roll, fondando i «Diavoli del rock» insieme a Gino Paoli, che diventa un suo grande amico. Ma lo stesso Paoli nel 1963 tenta il suicidio quando l’incantevole Stefania Sandrelli, con la quale ha avuto la figlia Amanda e cui è dedicata Sapore di sale, gli preferisce Tenco.
Eppure gli amori travolgenti e sfortunati non bastano a spiegare la leggenda. Fanno testo invece i titoli delle sue canzoni struggenti e rabbiose, l’amore al tempo della collera nella sua voce, da Vedrai vedrai a Un giorno dopo l’altro (sigla della serie del commissario Maigret con Gino Cervi), da Lontano lontano a E se ci diranno. E naturalmente Mi sono innamorato di te... «Mi sono innamorato di te/ perché non avevo niente da fare / il giorno volevo qualcuno da incontrare / la notte volevo qualcuno da sognare». È una nenia del nichilismo mite che forse dà del tu alle ragazze e ai ragazzi del 2017 come ai genitori, e certo dice qualcosa anche a/di loro.