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«Nessuna traccia di fusti
nella discarica di Burgesi»

 
Francesco Oliva

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Francesco Oliva

discarica Burgesi a Ugento

Discarica Burgesi a Ugento (foto Rocco Toma)

Venerdì 30 Dicembre 2016, 11:00

18:14

di FRANCESCO OLIVA

UGENTO - «Allo stato non c’è alcun riscontro sulla presenza all’interno della discarica di centinaia di fusti di Pcb». È il passaggio centrale con cui la Procura di Lecce scaccia i fantasmi su una presunta bomba ecologica presente all’interno della discarica Burgesi. Un’ipotesi sostenuta con forza da Gianluigi Rosafio che, ai carabinieri del Noe e del Nucleo investigativo di Lecce tra il 2014 e il 2015, aveva svelato un traffico di fusti tombati (circa 600) contenenti Pcb nel sottosuolo della discarica.
La Procura ha così rotto il silenzio con un comunicato a firma del Procuratore Antonio De Donno e dell’aggiunto Elsa Valeria Mignone. La nota smorza le polemiche su una querelle giudiziaria che, nei giorni scorsi, aveva portato i sindaci dei paesi dell’area e il presidente della Regione Michele Emiliano a compiere un sopralluogo ad Ugento. Eppure l’intervento della Procura non fuga dubbi e perplessità. Nella richiesta di archiviazione del procedimento notificata al Comune di Ugento, alla Regione Puglia e al Ministero dell’Ambiente, infatti, la Procura sollecita comunque di provvedere alla bonifica del sito considerato «l’elevato rischio ambientale».

Nella nota diramata agli organi di stampa, invece, gli inquirenti annotano: «La presenza di Pcb è stata individuata soltanto nel percolato, mentre le analisi non hanno individuato alcuna contaminazione da Pcb nell’acqua di falda prelevata dai pozzi limitrofi alla discarica». Nel comunicato, quindi, non viene fatto alcun cenno su un presunto rischio ambientale. Per rimarcare con forza come il lavoro della Magistratura sia stato inappuntabile, risulta significativo un altro passaggio del comunicato, quando gli inquirenti precisano che «tali siti - compreso quello interessato dalla presenza di un’enorme discarica abbandonata in località Burgesi, sono stati, dal 2001 al 2004, prima messi in sicurezza e, successivamente, oggetto di vera e propria bonifica disposta dagli stessi comuni interessati, i cui lavori sono stati finanziati dalla Regione Puglia con fondi comunitari».
Il procedimento in questione (già definito) riguardava lo sversamento di fusti contenenti Pcb su terreni all’esterno della superficie della discarica. Rosafio, invece, agli investigatori ha parlato di un interramento all’interno, specificando il terzo lotto.

Le dichiarazioni del genero del boss ergastolano della Scu Pippi Calamita, però, non hanno convinto gli inquirenti a disporre ulteriori accertamenti sulla base di due valutazioni: a distanza di anni, un inquinamento della falda sarebbe emerso nelle varie consulenze e le dichiarazioni di Rosafio sarebbero arrivate a distanza di anni per non ritenere che siano state strumentalizzate. Forse per interessi privati. Rosafio è infatti uno degli imputati già condannato in un procedimento che si è chiuso agli inizi del 2000 su un presunto traffico di rifiuti tombati. E nella nota gli inquirenti scrivono proprio al riguardo chiudendo il cerchio sulla querelle: «Indagini complesse e accurate hanno già portato alla condanna, divenuta irrevocabile il 30 maggio 2014, di imprenditori e produttori di rifiuti, nonché di titolari di ditte di rifiuti per il reato, tra l’altro, di danneggiamento aggravato proprio di quei terreni su cui erano stati sversati rifiuti pericolosi, caratterizzati dalla presenza Pcb, pertanto, già sottoposti a sequestro nell’anno 2000».
Insomma, per la Procura non ci sarebbe alcun allarme in attesa che gli enti provvedano ad una bonifica a questo punto necessaria e “urgente” per ridare tranquillità e sicurezza a tutti i residenti della zona.

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